Negli anni della grande emigrazione del primo novecento e del secondo dopoguerra le principali destinazioni europee degli italiani erano la Germania, la Francia, il Belgio e la Svizzera. L’emigrazione degli anni 2000, invece, ha avuto come approdo preferito il Regno Unito, Londra in particolare.
Perché questo improvviso interesse per le isole britanniche, fino a poco tempo fa sostanzialmente “snobbate” per chi voleva lavorare all’estero, anche se da sempre méta indiscussa per motivi di studio e turismo? Le motivazioni, com’è ovvio, sono molteplici e possono riassumersi nella triade opportunità, lingua, sistema scolastico.
Opportunità significa soprattutto Londra, una città che da sola ospita circa un sesto della popolazione britannica ed è uno dei principali centri mondiali per le attività finanziarie e all’avanguardia in tanti altri settori dei servizi, senza trascurare il non irrilevante peso turismo. E le caratteristiche dei “nuovi emigranti” italiani ben si adattano a questo contesto, dal momento che spesso si tratta di persone laureate e altamente qualificate e non necessariamente di soggetti destinati a lavorare nella ristorazione o nel commercio.
La possibilità di migliorare la conoscenza dell’inglese, l’unica lingua veramente internazionale, è un altro forte incentivo a recarsi nel Regno Unito, soprattutto se la sua conoscenza deriva dalla frequenza di corsi universitari presso atenei e scuole di alta formazione di assoluta eccellenza a livello mondiale; inserire nel proprio curriculum lo studio presso un’università britannica fornisce prestigio e automaticamente certifica una buona conoscenza della lingua.
Per approfondire leggi l’articolo Studiare nel Regno Unito dopo la Brexit.
Ma cosa succede ora, dopo la Brexit? A cosa andranno incontro i nostri connazionali che già vi lavorano? E cosa succederà in futuro per chi vorrà trasferirsi per lavoro? Al momento le certezze sono poche, ma alcuni scenari si possono prefigurare.
Gli argomenti dell'articolo
Cosa succede per chi lavora
Chi già vive stabilmente nel Regno Unito da diversi anni, con la Brexit non avrà molto di cui preoccuparsi, soprattutto se la permanenza dura da almeno 5 anni e può dimostrare di avere una stabile occupazione, un reddito costante, un’abitazione o si sia sposato e abbia avuto figli. In questi casi si tratta di persone ormai pienamente integrate e sostanzialmente equiparate ai cittadini britannici.
Dal punto di vista strettamente legale avranno due opzioni:
- Potranno richiedere la cittadinanza britannica oppure un permesso di lavoro di lunga durata. Questo almeno stando alla legislazione attualmente applicabile ai soggetti non appartenenti a Stati membri dell’Unione europea. Nulla vieta, anzi sarà estremamente probabile, che nelle trattative per l’uscita dell’Unione la questione sarà disciplinata più nel dettaglio e in modo diverso.Come ha spiegato il Governo britannico in una nota ufficiale i cittadini di Stati membri dell’Unione che hanno vissuto legalmente e in via continuativa nel Regno Unito per almeno 5 anni hanno automaticamente il diritto alla residenza permanente, hanno cioè la possibilità di vivere stabilmente nel Paese senza nessun obbligo di registrazione per documentare e confermare tale status.
Se, invece, hanno vissuto nel Regno Unito per almeno 6 anni possono richiedere la cittadinanza britannica, che andrebbe ad aggiungersi a quella italiana (la doppia cittadinanza è consentita dalla legislazione inglese e da quella italiana). La procedura non è propria agevole e comunque richiede almeno un anno di tempo e il pagamento di una cifra che si aggira intorno alle 1000 sterline. - La seconda opzione è ottenere un permesso di lavoro. Chi non intende restare per sempre potrà richiedere un visto di lavoro, da rinnovare periodicamente, presentando una richiesta da parte del proprio datore di lavoro.
Ma, è bene ripeterlo, al momento, e almeno per i prossimi due anni, nulla di tutto ciò sarà necessario.
Cosa succede per chi vorrà andare a lavorare
In questo caso siamo nel campo delle mere ipotesi e si può solo ipotizzare cosa potrebbe succedere. Se tutti i cittadini degli Stati appartenenti all’Unione europea diventassero, per effetto della Brexit, degli extracomunitari allora vi sarà l’obbligo di chiedere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. In pratica chi vorrà andare a lavorare nel Regno Unito dovrà prima trovare un lavoro stando in Italia e poi trasferirsi, nel momento in cui il datore di lavoro avrà effettuato le necessarie richieste alle autorità britanniche.
Il permesso di soggiorno per lavoro consentirà di rimanere sul suolo britannico, viverci e usufruire delle prestazioni del sistema sanitario e assistenziale per tutto il periodo indicato. Laddove, però, l’attività lavorativa dovesse cessare e non si trova un altro lavoro in breve termine, il cittadino italiano sarebbe costretto a ritornare in patria.
Durante la campagna per il referendum è stato anche proposto di introdurre il cosiddetto sistema australiano per accogliere lavoratori di altri Paesi. Cosa prevede? In pratica è un procedimento che assegna un certo numero di punti ai richiedenti il permesso di soggiorno per motivi di lavoro sulla base dei risultati di un esame di lingua inglese e in seguito alla valutazione delle competenze e delle capacità possedute. Sostanzialmente privilegia l’immigrazione di lavoratori qualificati a discapito di quelli senza alcuna specifica professionalità.
Il riconoscimento delle qualifiche professionali
Il riconoscimento delle qualifiche professionali sarà un altro aspetto da valutare attentamente. Al momento vige il sistema europeo del mutuo riconoscimento, in alcuni casi attraverso il meccanismo della tessera professionale europea. Con l’uscita dal quadro comune europeo tale automatismo verrà a cadere e occorrerà richiedere uno specifico riconoscimento della qualifica professionale acquisita, magari sostenendo un esame integrativo per la verifica effettiva delle competenze.
L’altro modo di lavorare nel Regno Unito sarà probabilmente quello sperimentato da generazioni di migranti, vale a dire un viaggio iniziale giustificato da motivi turistici che, dopo aver trovato sul posto un lavoro, diventa una permanenza a titolo definitivo, con rilascio del relativo permesso di soggiorno per svolgimento di attività lavorativa.
Si tratta comunque di ipotesi basate sulla disciplina che attualmente regola la permanenza dei cittadini non appartenenti all’Unione nel Regno Unito. Le trattative che saranno avviate dopo la presentazione della richiesta di abbandono dell’Unione inevitabilmente disciplineranno questi aspetti e quasi sicuramente si giungerà ad una regolamentazione che prevederà uno status differenziato per i cittadini dell’Unione europea; non godranno totalmente della precedente libertà di circolazione e soggiorno ma non saranno nemmeno del tutto equiparati a cittadini di Stati non appartenenti all’Unione.
Dunque, qualche restrizione ci sarà, ma il Regno Unito resterà sempre una mèta accessibile per chi vi vorrà lavorare.
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