Per poter comprendere con la dovuta profondità il significato che l’inclusione ricopre nel nostro sistema sanitario e scolastico è necessario conoscere il lungo viaggio che la nostra civiltà ha compiuto nel tentativo di garantire a tutti gli esseri umani il rispetto dei propri diritti e l’accesso ad una vita quanto più possibile frutto delle proprie scelte, inclinazioni, preferenze. Questo cammino e queste riflessioni devono essere per tutti coloro che si approcciano alla professione del docente di sostegno parte integrante della propria formazione, sia come nozioni storiche che come bagaglio valoriale.
Si precisa che la trattazione di questo argomento è stata selezionata sulla base delle tracce già uscite per la scuola secondaria di secondo grado ed è uno degli argomenti più discussi della community Edises.
Gli argomenti dell'articolo
L’evoluzione del concetto di disabilità nella letteratura mondiale
Nel 1948 l’OMS (organizzazione mondiale della sanità) pubblica la definizione ufficiale di salute, che consiste in uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non soltanto nell’assenza di malattia o infermità. Questa definizione nei successivi decenni alimenta un dibattito, che si articola sostanzialmente intorno a tre punti:
- la salute è un concetto separato dal benessere, che ha un valore intrinseco per gli esseri umani anche se strumentale per altre componenti del benessere,
- la salute è costituita da stati o condizioni di funzionamento del corpo e della mente, dunque ogni tentativo di misurarla deve prevedere misure di funzionamento di entrambe le dimensioni (corpo e mente),
- la salute è un attributo di una singola persona, sebbene si usino misure aggregate per descrivere le caratteristiche di una o più popolazioni.
Il dibattito in questione incontra un momento di svolta con la nascita negli anni Sessanta del movimento chiamato dei Disability studies, un filone di riflessioni intorno al tema e alla definizione di disabilità, che diventa qualcosa di complementare, e dunque di strettamente dipendente, dal concetto e dalla definizione di salute. Nel 1976 L’UPIAS (Union of the Physically Impaired Against Segregation) afferma che è la società a rendere disabili le persone che esperiscono una qualche menomazione fisica, che la disabilità è qualcosa che viene imposto sopra le menomazioni esitando nella limitazione alla partecipazione alla vita sociale.
Nasce così la distinzione fra due diversi modelli di disabilità: quello medico/individuale, per il quale la disabilità è frutto di una condizione di malattia, di una menomazione fisica o mentale che genera disparità nelle attività che i singoli possono svolgere e, di conseguenza, una condizione di handicap rispetto al resto dei membri della società e quello sociale, per il quale sono le barriere create da una società costruita a misura di una sola (e limitata) tipologia di esseri umani a determinare le limitazioni alle attività e le restrizioni alla partecipazione di coloro i quali funzionano diversamente, relegandoli ad una sensazione di inadeguatezza e di incapacità.
Un anno dopo sarà il contributo dello psichiatra George Engel ad aprire la strada ad un terzo modello di disabilità, quello alla base dell’attuale maniera di intendere questa condizioni temporanea o permanente nelle scuole e nel mondo socio-sanitario, il modello bio-psico-sociale, quello cioè che definisce la disabilità come la risultante di una serie di fattori di natura biologica (quindi inerenti il corpo), sociale (quindi di relazione) e psicologici (quindi personali).
Caratterizza quest’ultimo modello un’affermazione della disabilità come esito complesso e interagente dei modelli medico, ambientale e socio-relazionale, con un chiaro riferimento al funzionamento individuale: non va dunque confuso con la semplice compresenza dei tre modelli.
Il sistema scolastico italiano dalla differenza all’inclusione
La transizione dal concetto di integrazione a quello di inclusione scolastica per il nostro paese ha rappresentato un cambiamento significativo nella visione della formazione delle persone con disabilità.
Questo passaggio è avvenuto attraverso riforme normative, pedagogiche e soprattutto mediante un’evoluzione culturale che ha posto al centro il diritto di tutti gli studenti ad un’educazione equa e di qualità. Ma vediamo qui le principali tappe di questo percorso:
- Differenza e differenziale: fino agli anni Settanta gli studenti con disabilità erano spesso esclusi dalle scuole comuni e inseriti in istituti speciali o in classi differenziali. La loro educazione era considerata da differenziare, da separare, secondo un approccio più assistenzialistico che formativo.
- Dall’esclusione all’inserimento (dagli anni Settanta ai Novanta): la legge n. 517/1977 permette all’Italia di intraprendere un cammino innovativo rispetto a molti altri paesi, in linea con il dibattito più aggiornato a livello globale, come tracciato nel precedente paragrafo. La norma prevede, infatti, l’abolizione delle classi speciali e l’introduzione del concetto di inserimento degli alunni con disabilità nelle scuole comuni, affiancati dalla figura dell’insegnante specializzato per il sostegno, che entra nelle scuole elementari e medie con la titolarità nella classe di riferimento tramite una circolare ministeriale di due anni più tardi (1979). Per far sì che il docente di sostegno arrivi anche nella scuola secondaria di secondo grado occorrerà attendere il 1988.
- Verso l’integrazione: dopo il successo dell’operazione di inserimento, nel corso del decennio successivo diventa centrale la riflessione sull’integrazione scolastica, che evidenzia la necessità di adattare il contesto scolastico per permettere agli alunni con disabilità di partecipare nella maniera più attiva possibile, pur tuttavia rimanendo spesso ai margini di decisioni e attività rispetto ai loro coetanei.
Sarà con la promulgazione della legge n. 104/1992 che il principio dell’integrazione si afferma con sempre maggior forza, in particolare nel mondo della scuola attraverso la garanzia del diritto all’educazione e all’integrazione scolastica, attuata attraverso l’istituzione di un team di figure di supporto fra cui gli insegnanti di sostegno e gli operatori per l’assistenza specialistica. Questa è nello specifico la norma che sancisce l’introduzione del PEI (Piano Educativo Individualizzato), documento che regola e certifica la personalizzazione del percorso formativo per gli alunni con disabilità. - La scuola inclusiva (dagli anni 2000): è con lo scoccare del nuovo millennio che, a seguito della pubblicazione dell’ICF, si procede al superamento del concetto di integrazione, sostituito da quello di inclusione, basato sul modello bio-psico-sociale per cui la disabilità è frutto del contesto di vita del soggetto, ai cui bisogni non è in grado di far fronte.
Da questo momento in poi si fa strada l’idea che sia la scuola a doversi adattare ai bisogni di tutti gli studenti, non il contrario. Oltre che alla pubblicazione dell’ICF (2001) l’elaborazione del concetto di inclusione si deve anche alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (13 Dicembre 2006), che contribuisce a definire la disabilità come il risultato dell’interazione tra la persona e l’ambiente. - Altre fondamentali tappe legislative in merito all’inclusione scolastica includono:
- Il DM 27/12/2012: questa norma sancisce l’adozione di un approccio universalmente inclusivo, che non riguarda dunque più soltanto le persone con disabilità, ma tutti gli studenti con bisogni educativi speciali (BES), permanenti o temporanei;
- il D. Lgs 66/2017: attraverso la riforma del sostegno scolastico questo decreto rafforza il ruolo della scuola nell’accoglienza di tutti gli alunni.
Classificazioni della disabilità: dall’ICDIH all’ICF
Vediamo ora come la classificazione della disabilità si è modificata negli anni sulla scia del dibattito sulla dialettica salute/malattia.
Pubblicata dall’OMS nel 1980, l’ICIDH (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps) si basava su di un approccio di tipo medico, articolato in tre livelli visti in successione lineare e fra loro consequenziale:
- Menomazione (impairment): qualsiasi perdita o anomalia a livello anatomico, fisiologico o psicologico
- Disabilità (disability): la conseguente limitazione nello svolgimento di un’attività
- Handicap: una restrizione alla partecipazione sociale derivante da una menomazione o disabilità.
Dopo pochissimo tempo dalla sua pubblicazione questo manuale dedicato alle conseguenze della disabilità offre lo spunto per riflettere sulla propria articolazione ed evidenziarne i seguenti limiti:
- una visione medicalizzata della persona come inevitabilmente destinata a subire le conseguenze di una menomazione
- il contesto sociale non viene considerato assumere un ruolo attivo rispetto alla condizione di disabilità
- l’handicap viene visto come una conseguenza automatica della disabilità
La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF, 2001) affronta questi limiti in maniera da attuare un cambio di prospettiva:
- dalla persona con una disabilità si passa alla persona che vive una condizione di funzionamento differente,
- da una logica di stretta causalità (menomazione-disabilità-handicap) si passa a una logica interattiva tra persona e contesto
L’ICF si basa sul modello bio-psico-sociale di Engel e perciò nella descrizione della persona integra aspetti biologici (menomazioni), aspetti psicologici (cognitivi, emotivi, comportamentali) e aspetti sociali (ambiente, relazioni, partecipazione).
Si articola in:
- Funzioni e strutture corporee: i cui qualificatori sono le modifiche nelle strutture e le alterazioni nelle funzioni corporee,
- Attività: i cui qualificatori sono la capacità (ciò che una persona sa fare) e la performance (ciò che una persona può fare),
- Partecipazione: i cui qualificatori sono barriere e facilitatori (come l’ambiente impedisce o supporta la partecipazione alle attività di vita)
- Fattori contestuali: articolati in ambientali (famiglia, scuola, barriere architettoniche o culturali) e personali (età, motivazioni, esperienze)
L’adozione dell’ottica ICF nel mondo della scuola permette di puntare l’attenzione sulle potenzialità, non solo sulle criticità e sui limiti e, così facendo, di individuare strategie educative realmente inclusive e capaci di generare motivazione e senso di auto-efficacia.
Il PEI su base ICF
Il PEI (Piano Educativo Individualizzato) è il documento fondamentale per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità: nasce con la legge n. 104/1992, è stato riformato dal D. Lgs 66/2017 e aggiornato dal D. Lgs96/2019, ed è redatto secondo il modello dell’ICF.
Il PEI si articola in sezioni, tra cui:
- Profilo di funzionamento dell’alunno (basato sull’ICF): capacità cognitive, comunicative, motorie, relazionali, contesto scolastico e familiare, fattori ambientali che ne influenzano il funzionamento.
- Obiettivi e traguardi di competenza: personalizzati sulla base delle esigenze e delle potenzialità dell’alunno. Per quanto concerne le discipline possono essere comuni ai compagni della classe che frequenta o differenziati, ma sempre attinenti al curricolo scolastico; in senso più ampio gli obiettivi che ogni PEI si prefigge sono un’inclusione scolastica autentica e partecipativa, una progettazione centrata sulla persona e non solo sulla sua condizione di salute, la costruzione di un percorso formativo coerente e condiviso, che favorisca quanto più possibile la conquista dell’autodeterminazione e del benessere dell’alunno.
- Interventi educativi e didattici: di questi vengono specificate strategie e metodologie, tecnologie e supporti, strumenti compensativi e misure dispensative.
- Valutazione e monitoraggio: il documento deve esplicitare i propri criteri e strumenti di valutazione e prevedere momenti di verifica e aggiornamento.
- Ruoli e compiti: di tutte le figure coinvolte, che costituiscono il GLO, gruppo di lavoro operativo per l’inclusione, formato da docenti, famiglia, specialisti, eventuali educatori.
Esempio nella pratica didattica
Si fornisce un breve esempio concreto di quello che distingue la redazione di un PEI su base ICIDH e su base ICF, a partire dalla stessa condizione di salute dell’alunno.
Si consideri L., alunno maschio del secondo anno della scuola secondaria di primo grado, con diagnosi di disturbo dello spettro autistico. Lo studente risulta dal suo profilo di funzionamento dotato di buone capacità cognitive, ma presenta difficoltà nella comunicazione pragmatica e nelle interazioni sociali, comportamenti ripetitivi (stereotipie) e estrema rigidità nella gestione di situazioni nuove o non strutturate.
La descrizione di L. secondo l’ICIDH prevede che ad una menomazione a livello neuropsichico consegue una disabilità nella comunicazione e dunque un handicap nelle relazioni in ambito scolastico.
L’ICF si concentra sul funzionamento globale di L., mettendolo sempre in relazione con l’ambiente in cui vive: le funzioni cognitive sono buone, ma ha bisogno di facilitatori per partecipare efficacemente alle attività sociali.
L’ICIDH a livello di obiettivi educativi mira a compensare i suoi deficit comunicativi, l’ICF punta a favorire la partecipazione operando una mediazione nell’interazione con i pari e prevedendo una routine che possa costituire un affidabile punto di partenza per lo sviluppo delle abilità sociali dell’alunno.
La progettazione didattica secondo l’ICIDH lavora sui limiti da superare, proponendo attività parallele rispetto al gruppo classe, mentre l’ottica ICF lavora su adattamenti e strategie delle attività suddette per consentire all’alunno una partecipazione autentica e quanto più possibile attiva.
Infine nell’ambito della valutazione l’ICIDH misura quanto il risultato dell’alunno si discosti da una norma, mentre quella secondo l’ICF valuta il progresso personale rispetto agli obiettivi condivisi nel PEI.
In maniera ancor più esplicita possiamo esemplificare così:
- ICIDH:
- Obiettivo: ridurre i comportamenti ripetitivi (stereotipie) durante le lezioni
- Attività: esercizi individuali di autocontrollo, svolti fuori dalla classe
- Ruolo della mediazione didattica: contenere il comportamento problematico
- ICF:
- Obiettivo: partecipare a un lavoro di gruppo mediante una sequenza di azioni (routine)
- Attività: utilizzo di segnali visivi, spazi prevedibili, strumenti laboratoriali
- Ruolo della mediazione didattica: strutturare il contesto, promuovere l’interazione tra pari, valorizzare le risorse esistenti
Conoscere gli strumenti del sostegno
La preparazione al concorso per il TFA sostegno consiste nella costruzione di conoscenze e di competenze in grado di riflettere su se stesse e di volgere la pratica didattica quotidiana nella direzione suggerita da queste riflessioni. Lo studio per superare le prove del concorso prevede di affrontare molteplici aspetti, tutti toccati dagli articoli di approfondimento a seconda delle esigenze rilevate nel tempo dagli utenti. Fra questi aspetti la consapevolezza delle dinamiche storiche e sociali alla base degli strumenti che il docente di sostegno usa quotidianamente per svolgere il proprio lavoro appare come prioritaria nel percorso di costruzione della sua professionalità.
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