Da quando, sulle ali della collana Occhicielo, la mia avventura nell’educazione emotiva ha avuto inizio, ho fatto un grandissimo numero di scoperte: sui bambini, su me stessa come adulta e come mamma, sulle emozioni che tutti ci accomunano e che tanta parte hanno nella nostra vita. Ma, devo dire, una grossa fetta di queste scoperte ha dei protagonisti comuni: gli insegnanti!
E, scrivendo dei libri che si rivolgono principalmente ai bambini piccoli, è accaduto che il mio interesse e anche le mie ricerche, con le conseguenti scoperte di cui sopra, si dirigessero in maniera del tutto naturale verso una categoria ancora più specifica, cioè i maestri e le maestre, di quei due ordini di scuole che – mi perdonerete lo stile vintage – a me piace ancora chiamare l’“asilo” e le “elementari”.
Sono due parole che mi riportano indietro nel tempo a quando ero piccola, agli anni ’80, a quando andavo a scuola prima con il “panierino” e poi con la “cartella” – anche se era già uno zaino – a quando in classe giocavo con la “plastilina”, a quando non vedevo l’ora di indossare i “bluejeans” per sentirmi – e qui faccio un bel balzo temporale in avanti nel lessico – “cool”!
I bluejeans, un obiettivo per noi bambini che volevamo sembrare ragazzi, un simbolo – ancora oggi – di sportività, di praticità, di un carattere alla mano e al passo coi tempi, di giovinezza, con tutto il suo allegato di buon umore, gioco, divertimento, idee, curiosità.
Non credo sia un caso quindi che una mia coetanea, una “ragazza” di oggi che è stata una bambina negli stessi anni in cui lo sono stata io, una insegnante, quando ha avuto l’idea di aprire una pagina Facebook dedicata alla condivisione di idee e buone prassi con le sue colleghe, abbia pensato di farlo con un soprannome che è tutto un programma “Maestra in bluejeans”.
Qual è questo programma?
Non sto qui a spiegarvelo a parole mie. Lo chiedo direttamente a lei, perché le sue parole parlano la lingua dell’entusiasmo, delle idee, dell’ascolto, del benessere dei bambini, del cambiamento e di un lavoro che evolve alla velocità della luce.
Gli argomenti dell'articolo
Bambini felici di imparare: l’importanza della relazione personale
Francesca Cara Francesca (a proposito condividiamo anche il nome, per cui, per non creare confusione, da qui in poi la chiamerò con il suo nome d’arte), tu sei una insegnante di sostegno nella scuola elementare, quando ti è venuta l’idea di trasformarti in una Maestra in bluejeans? Ma soprattutto: da dove è nata la tua esigenza di condivisione di una esperienza che immagino come molto intensa e carica di responsabilità e di emozioni?
Maestra in bluejeans Per essere precisa, devo dirti che l’idea di trasformarmi in una Maestra in bluejeans non mi è mai venuta: io sono una maestra in bluejeans, in senso letterale, dal momento che li indosso quotidianamente per andare a scuola. Ma, quando ho scelto il mio nikname, non mi sono solo ispirata alle mie preferenze di abbigliamento: ho pensato anche a una serie tv che andava in onda quando ero ragazza e che mi piaceva molto per il messaggio di spensieratezza e naturalezza che dava. Di sicuro la conosci anche tu, si chiamava Genitori in bluejeans.
L’idea di condividere la mia esperienza, nasce da un’esigenza personale, e cioè fare la mia parte nella diffusione di quelle buone prassi indispensabili per migliorare la scuola di oggi, per tornare a insegnare con il sorriso e per permettere ai bambini di essere felici di imparare e, quando è possibile, di imparare giocando.
Si tratta di un compito non facile, che diventa però possibile quando si riesce a instaurare una relazione personale profonda con ogni bambino, l’unica che secondo me è in grado di garantire degli apprendimenti significativi. A questo proposito condivido pienamente le parole dello psicologo statunitense Karl Rogers, tra i primi a mettere al centro dell’interesse la persona in tutti i suoi aspetti intellettivi, ma soprattutto affettivi.
Quando l’insegnante è in grado di comprendere le reazioni intime dello studente e la sua sensibilità gli permette di essere consapevole dell’impressione che il processo educativo suscita nello studente, allora aumentano considerevolmente le prospettive di un apprendimento significativo.
Rogers le scrive nel suo testo dal titolo Libertà nell’apprendimento, ed è in nome di questa libertà che ho deciso di condividere la mia esperienza.
Bambini liberi di essere se stessi: l’importanza dell’equità
Francesca Come insegnante di sostegno, sei chiamata a prenderti cura di ragazzi che hanno delle difficoltà più o meno gravi, perché quelle stesse difficoltà impediscono loro di “farcela da soli”. Vorrei prendere spunto da questa espressione – sebbene non mi piaccia molto – che ho sentito e letto spesso in relazione al sostegno, e farti una domanda molto specifica: in base alla tua esperienza, quanto ritieni importante, per questi ragazzi, il supporto di tutta la classe, dall’insegnante curricolare a tutti gli altri alunni, accanto a quello che puoi offrire tu stessa attraverso la tua figura professionale specializzata?
Maestra in bluejeans Anche a me questa espressione, “farcela da soli”, non piace per nulla, perché presuppone il concetto di standard da raggiungere a scuola, proprio quello che cerco di combattere ogni giorno. E, a questo punto, devo per forza citare una delle più famose frasi di Albert Einstein:
Ognuno è un genio ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.
Io credo che sarebbe necessario stabilire delle nuove regole all’interno della scuola, e la più importante dovrebbe essere la regola dell’equità, il principio dell’equità, che permetterebbe a ciascuno di esprimere le proprie potenzialità e diventare ciò che può diventare.
Ogni bambino è una risorsa fondamentale per la classe e i primi a doverne prendere una reale e profonda consapevolezza siamo noi insegnanti. Purtroppo invece, in molte realtà, chi non si adatta al sistema scolastico, non trova spazio per sé e ciò causa grandissime sofferenze sia ai bambini sia alle loro famiglie.
Fortunatamente però, esistono anche realtà come la mia, nelle quali la comprensione empatica di cui sono dotate le insegnanti, permette ai bambini – a tutti i bambini – di sviluppare le proprie potenzialità e di progredire, di sentirsi parte integrante della classe e della comunità scolastica.
Bambini motivati: l’importanza delle emozioni positive
Francesca Sulla tua pagina Facebook, condividi, con un entusiasmo e una passione che a mio avviso rappresentano un vero valore aggiunto per ogni insegnante, strumenti, citazioni, link utili, approfondimenti – tra cui anche quelli che noi di Occhicielo pubblichiamo sul nostro blog – che stimolano alla creatività, all’ascolto, all’introduzione di attività didattiche nuove e ispirate al divertimento e al gioco. Secondo te, che ruolo svolge il gioco, con il suo inseparabile amico divertimento, in un apprendimento vero e duraturo? Perché è così importante imparare giocando?
Maestra in bluejeans Nella mia esperienza, il gioco è assolutamente fondamentale e indispensabile per avere bambini motivati ad apprendere, bambini che si appassionano a ciò che viene loro insegnato, desiderosi di scoprire e conoscere.
Lo dimostrano le esperienze concrete ma anche le scienze psicologiche, le neuroscienze, che hanno messo in luce l’importanza dell’associazione di emozioni positive all’apprendimento e sottolineato che apprendere in un ambiente stressante, nel quale le principali emozioni sono la paura, l’ansia o la tristezza, causa quelli che la dottoressa Daniela Lucangeli – una delle voci più determinate in questo ambito – definisce “cortocircuiti cognitivi”, con tutto ciò che ne consegue: calo della motivazione, dell’interesse, dell’impegno, dell’entusiasmo, della curiosità, di tutte quelle componenti emotive che invece sono amiche dell’apprendimento.
È per questo che cerco sempre di sorprendere i miei alunni, di emozionarli attraverso giochi, laboratori, attività che possano accendere il loro desiderio di scoprire e la loro voglia di continuare a imparare giocando. A tal proposito mi viene in mente un bellissimo libro un po’ datato di Guido Petter, La valigetta delle sorprese, che mi affascinò molto proprio perché sottolineava l’importanza di sorprendere e di emozionare, ogni giorno.
Bambini che superano gli ostacoli: l’importanza di imparare giocando
Francesca Mi sembra evidente che, nella tua esperienza, e anche nella tua convinzione, il gioco come strumento di insegnamento e di apprendimento svolga un ruolo davvero centrale. Del resto, a dirti il vero, dopo aver letto e in parte sperimentato il tuo libro, non è che questo rappresenti una sorpresa per me! Già il titolo, Tabellinando (Edizioni Il Melograno) mi ha fatto subito pensare a qualcosa che avviene in movimento, “facendo”, “svolgendo”, “sperimentando”.
Poi, guardando le attività che proponi, ho capito che l’impressione iniziale è giusta: le terribili tabelline si possono imparare mentre si fanno altre cose che terribili non sono, e per niente. C’è spazio per ogni tipo di gioco: da quello motorio al simbolico, da quello di precisione che sviluppa la motricità fine a quello che invece aiuta la concentrazione e la memoria. Insomma ce n’è per tutti i gusti! Vuoi dirci come ti è venuta l’idea di questo libro? E perché hai pensato proprio alle tabelline?
Maestra in bluejeans L’idea di Tabellinando mi è venuta perché sono io la prima ad annoiarmi nel momento in cui devo insegnare le tabelline e anche perché, nella mia esperienza, c’è sempre un alone quasi di terrore che le avvolge: vengono vissute, soprattutto dai genitori, come un grandissimo ostacolo. Ma può non essere così, a casa e a scuola si possono proporre tantissime attività, giochi di movimento, laboratori, attraverso i quali esplorare e scoprire che le terribili tabelline possono diventare divertenti.
In giardino, in palestra, anche la scuola ha gli spazi adatti, basta la volontà di mettersi in gioco e di sperimentarsi insieme ai propri alunni. Questa sperimentazione però costa fatica, e non tutti gli insegnanti sono pronti a uscire dalla loro confort zone per trovare nuove strade, nonostante avvertano il problema della motivazione, nonostante cioè si accorgano di non riuscire più a motivare i loro bambini e siano consapevoli della difficoltà di farsi ascoltare.
Mi viene in mente un’altra frase di Einstein, che adoro:
Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettare risultati diversi…
Bambini che includono: l’importanza della naturalezza
Francesca Un’ultima domanda Maestra in bluejeans, così ti lascio tornare alle tue mille attività, nel tuo Tabellinando, ci sono dei giochi che i tuoi colleghi insegnanti e insegnanti di sostegno possono trovare utili per affrontare anche alcune difficoltà particolari, per esempio i DSA, in primis la dislessia?
Maestra in bluejeans Penso che ogni bambino debba scegliere il gioco che preferisce, e sono altrettanto convinta che ogni insegnante dovrebbe saper scegliere i giochi più adatti alla propria classe conoscendo le caratteristiche dei bambini che la compongono.
A fare la differenza, a mio avviso, è sempre l’approccio con cui vengono utilizzati, per chi ne ha bisogno, gli strumenti compensativi quali, in questo caso, la tavola pitagorica. Io credo che con la stessa naturalezza con cui un bambino utilizza gli occhiali per vedere meglio la lavagna, o una stampella se si sloga un piede, dovrebbe poter usare la tavola pitagorica per risolvere le moltiplicazioni se ne ha bisogno. Purtroppo, questa naturalezza in alcune realtà manca ancora, ma la scuola deve essere il primo luogo a integrare e includere realmente, concretamente, attraverso i fatti. È da qui che parte la speranza di un futuro migliore.
Bambini del presente, adulti del futuro
Cara Maestra in bluejeans, questa tua ultima riflessione mi riporta col pensiero a due anni fa, quando il mio viaggio con Occhicielo è iniziato. In particolare, mi fa tornare in mente il titolo che avevo scelto per il primo articolo che ho scritto su questo blog:Educare alle emozioni oggi per investire sul futuro.
Questa parola “futuro” è da sempre carica di attese, speranze, sogni, progetti, di cose che “saranno”, ma anche di cose che “potrebbero essere”. Uso il condizionale “potrebbero”, perché se saranno o no dipende da quello che facciamo noi oggi, qui, in questo tempo in cui possiamo agire. La parola futuro allora si carica, per me, anche di un presente fatto di azioni concrete.
Oggi, la nostra è una società che include poco ed esclude tanto, che ancora non ha capito come “integrare” nel senso più letterale del termine, cioè di “completare, aggiungere gli elementi che mancano”, non ha capito come comporre le diversità in un organismo “integro”.
Mancano dei pezzi, ma oggi – ora – possiamo aggiungerli, cominciando dalla famiglia, dalla scuola, dai bambini, portando naturalezza dove non c’è, scegliendo l’ascolto, sperimentando metodi nuovi, accogliendo il gioco, la sorpresa, la curiosità. C’è molto da fare, ma molto di più c’è da guadagnarci. Intanto, da parte di Occhicielo, un grazie per il tuo impegno e per l’entusiasmo con cui lo porti avanti!