docente per l’inclusione

Da docente di sostegno a docente per l’inclusione: la proposta di legge 2025

L’11 Marzo 2025 sei deputati della Lega presentano alla Camera dei Deputati la proposta di legge per sostituire la dicitura “docente di sostegno” con il nuovo titolo di “docente per l’inclusione”. Il 20 maggio 2025 la suddetta proposta viene assegnata in sede referente alla VII Commissione Cultura.

L’articolo 1 della proposta prevede appunto che ogni riferimento legislativo attuale a “docente di sostegno” sia sostituito con “docente per l’inclusione”.

L’articolo 2 introduce una clausola di invarianza finanziaria, assicurando che il cambiamento terminologico non comporta costi aggiuntivi per lo Stato.

L’eventuale attuazione materiale sarà affidata da un decreto ministeriale.

Motivazioni della proposta, impianto legislativo e opinione degli esperti

Gli autori della proposta di legge (i deputati Miele, Molinari, Andreuzza, Cecchetti, Giagoni e Loizzo) adducono alla necessità di questa modifica la motivazione che la locuzione di sostegno sia limitante la percezione del ruolo del docente, così chiamato ad un semplice supporto individuale, mentre ritengono che per linclusione sia una formula più in grado di valorizzarne pienamente la funzione educativa, rivolta all’intera classe e, in ultima analisi, all’intero sistema scolastico.

Si vuole così puntare a riconoscere tali docenti come promotori di equità e di strategie didattiche inclusive, in sintonia con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e le linee guida nazionali sull’inclusione.

Dal punto di vista strettamente legislativo il termine docente di sostegno non compare formalmente nelle leggi: il linguaggio normativo parla piuttosto fin dalla legge 517/1977 di docenti specializzati per le attività di sostegno, per promuovere l’integrazione degli alunni con disabilità nelle classi ordinarie, prevedendo corsi biennali di specializzazione (legge 104/1992).

Già dagli anni ‘90 la figura era vista come docente assegnato alla classe (non al singolo studente), con responsabilità condivise nella comunità scolastica.

Molto più di recente il decreto legislativo 66/2017 usa entrambi i termini facendo riferimento ai corsi per sostegno e inclusione.

Simone Billeci, autore di diversi contributi epistolari su Orizzonte Scuola si esprime di recente interpretando la proposta non solo come un cambiamento lessicale, ma quale atto culturale e antropologico dovuto: la terminologia a suo parere influisce profondamente sulla percezione del ruolo e della funzione educativa e in quest’ottica il docente per l’inclusione incarnerebbe più propriamente un insegnamento trasversale, fondante e comunitario, non un supporto residuale rivolto a categorie precostituite, in una idea di inclusione che non coincide con l’aiutare l’altro a entrare nel gruppo, ma che trasforma il gruppo perché ogni diversità diventi risorsa.

L’inclusione italiana si fonda, diversamente da altri paesi europei, su una concezione pienamente democratica dell’educazione: don Lorenzo Milani, pietra miliare del modo di fare scuola nel nostro paese, ha posto le radici di questa affermando che non si tratta di adattare l’alunno alla scuola, ma di adattare la scuola all’alunno.

Tecnica della Scuola intervista su questo argomento Jacopo Balocco, docente componente del GLIR del Lazio per UICI (Unione italiana ciechi e ipovedenti) e FAND (Federazione Associazioni nazionali delle persone con disabilità): il suo contributo evidenzia che l’uso di docente di sostegno è spesso frutto di semplificazioni lessicali, mentre il titolo completo è quello di docente specializzato per attività di sostegno e sottolinea che ad essere davvero rilevante è la necessità di ravvivare il dibattito sulla centralità del ruolo educativo, stimolando una riflessione sul profilo professionale e storico di questa figura.

La redattrice di La Scuola Oggi Rosaria Cimino si esprime considerando la proposta di legge come un tentativo di ridefinire il ruolo del docente, valorizzando l’idea dell’inclusione come fondamento di una cultura scolastica condivisa, oltre un mero significato compensativo o assistenziale. Il linguaggio è in grado di orientare pratiche e ruoli: il nuovo titolo potrebbe dunque contribuire a modificare la percezione del sostegno come funzione isolata, verso un modello di responsabilità educativa realmente condivisa.

Il ben noto luminare nel campo dell’inclusione scolastica professor Dario Ianes definisce la proposta un atto di cosmesi linguistica, sostenendo che senza azioni concrete e sistemiche, il cambio terminologico rischia di restare uno slogan vuoto: le azioni da intraprendere sarebbero di natura concreta e sistemica, un’evoluzione radicale del sistema di supporto, e cita a tal proposito formazione dei curricolari, co-docenze, supervisione e supporto da parte di esperti.

La sua posizione parte dalla percezione dell’insegnante di sostegno come figura isolata, più sfruttata che valorizzata, e propone per questo un cambiamento netto: abolire la figura e trasformarla in parte integrante dell’organico curricolare, creando una cattedra inclusiva mista come modalità organizzativa, che consenta ad insegnanti curricolari e specialistici di cooperare, condividendo obiettivi e responsabilità.

Ianes immagina nella scuola italiana una figura che non lavora mai da sola, ma affianca i docenti curricolari, diffonde competenze inclusive e metodologie personalizzate agendo da supervisore e formatore sul campo.

Riassumendo i contributi sull’argomento il passaggio terminologico a docente per l’inclusione può essere ritenuto come ben più di un semplice rifacimento linguistico, un mezzo per superare il modello compensativo e assistenziale a favore di un concetto di inclusione attiva e integrata, per conferire maggiore dignità e centralità al docente specializzato e uno strumento in grado di stimolare un cambiamento culturale.

Dario Ianes, però, mette in guardia da un rischio concreto: quello che il cambio terminologico resti una mossa puramente formale, non in grado da sola di determinare che l’inclusione diventi nella pratica didattica un modello organizzativo e pedagogico condiviso da docenti curricolari e specialisti

Conclusione

Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni”.

(Freud S. Introduzione alla psicanalisi- Prima serie di lezioni, 1917, trad it. Newton Compton, Roma, 2010)

Ben più di duemila anni prima già Aristotele sosteneva che il filo unitario che raccorda ed unisce ogni cosa esistente, è proprio il linguaggio: parte essenziale della comunicazione, dell’espressione, della natura umana.

Il nostro cervello pensa dicendo, tutto quanto è pensabile è anche dicibile, indipendentemente dalle capacità dei singoli di formularlo.

Se è vero che il linguaggio rispecchia il nostro modo di essere nel mondo, nel momento in cui scegliamo una parola scegliamo anche quello che è il nostro pensiero, dunque chi realmente siamo.

In quest’ottica la proposta trova una profonda ragion d’essere nella capacità delle parole di contribuire a plasmare rappresentazioni, quindi nel formare coscienze.

Sostegno risale al latino sustĭnēre, composto da sub (= sotto) e tenēre (= tenere).

Dunque il suo significato originario è “tenere da sotto”, “sorreggere”, “sostenere”, nel senso materiale e poi anche simbolico di aiutare a reggersi, a non cadere: può dunque evocare facilmente i concetti ormai superati in pedagogia di dipendenza, assistenzialismo, o condizione di eccezionalità.

Inclusione deriva dal latino inclusio, a sua volta unione di in (= dentro) e claudere (= chiudere).

Già dalle sue origini questo termine godeva di due connotazioni: una fisica, “chiudere dentro”, racchiudere in un contenitore, inserire in uno spazio chiuso; una concettuale, “racchiudere”, comprendere qualcosa all’interno di un insieme più ampio.

Accogliendo quest’ultima accezione del termine esso va a suggerire un’ottica di intervento strutturale, sistemica e condivisa, orientata a valorizzare la diversità come condizione fondante l’umanità e quindi a favorire la sua interpretazione come risorsa.

La nuova terminologia ha dunque il potere di contribuire a correggere distorsioni percettive e a rinnovare l’immaginario pedagogico attorno al ruolo del docente specializzato.

Tuttavia questo avrà valore effettivo nella vita di chi frequenta e lavora nella scuola se si configura come primo passo, inserito nella prospettiva di un cambio di rotta delle condizioni del lavoro curriculare.

Un lavoro in cui misure concrete di riforma quali quelle suggerite da Ianes (formazione e co-docenza strutturate) sostanzino finalmente il termine inclusione del suo significato di competenza trasversale, e non più specializzazione isolata, alla base di un sistema che dunque non solo nomina, ma funziona diversamente.