Con l’approssimarsi della Festa del papà, abbiamo pensato di festeggiarla fermandoci a riflettere sul papà della nostra epoca, un nuovo padre, perché diverso da qualche decennio fa in una maniera sempre più evidente e, soprattutto, in via di nuova definizione. Così, abbiamo chiesto a chi ci segue quotidianamente di raccontarci che cosa significa essere padre.
La prima risposta che abbiamo ricevuto è stata di una mamma, Elena.
“Mi permetto di rispondere, anche se sono mamma: essere padre significa capire nel vero senso della parola la stanchezza fisica e mentale della mamma a fine giornata.”
Gli argomenti dell'articolo
Il primo compito del papà: sostenere la mamma
Anche se Elena evidentemente non è un papà, abbiamo scelto di prendere spunto dalle sue parole perché mettono l’accento su un aspetto che riteniamo molto importante, e cioè che all’inizio il neopapà è chiamato a fare proprio questo: dareun sostegno pratico ed emotivo alla neomamma.
Il primo tassello per la costruzione della solidità emotiva del bambino, infatti, è prendersi cura della solidità emotiva della madre, perché è sullo stato emotivo di quest’ultima che, in particolare nei primi mesi di vita, il bambino sintonizza il proprio. Tuttavia, dal momento che, proprio in questa prima fase immediatamente successiva alla nascita, la condizione psicofisica della mamma può essere facilmente indebolita dalla stanchezza, dai nuovi ritmi, dalle paure e dalle ansie che nascono ogni giorno, ecco che il ruolo di cura del padre-compagno nei confronti della madre-compagna non è poi così secondario né marginale.
Un neopapà da nuovo millennio: non solo autorità ma anche coinvolgimento
Fissato questo primo punto saldo, dobbiamo dire che, il “ruolo del padre”, per come lo conosciamo oggi, è relativamente giovane e ancora in fase di definizione. Al punto che con il termine “neopapà” potremmo riferirci non solo a un uomo che è da poco diventato padre, ma anche a un “nuovo padre”, come suggerito dallo psicanalista Gustavo Pietropolli Charmet, nel senso di “un nuovo modo di essere padre”.
Eppure è solo negli ultimi decenni che si è iniziato a discutere e a interrogarsi sulla figura paterna, forse perché è da un tempo altrettanto breve che il padre si è affrancato dal ruolo autoritario di colui che fa rispettare le regole e delega il resto dell’educazione alla madre.
Decaduta la figura autoritaria, si è attraversata quella del cosiddetto “mammo”, per approdare a un ruolo sempre più partecipe nell’educazione, che però tenta di ritrovare e mantenere un codice paterno autonomo e distinto da quello materno.
Non un “mammo”, ma un papà con un suo codice paterno
E così deve essere! Ritrovare e mantenere un codice paterno è fondamentale, perché i bambini vivono fin dalla nascita, e per un tempo molto lungo, una simbiosi con la mamma, che nutre fisicamente e simbolicamente, che protegge, coccola e cura. In questa simbiosi si crea un codice comunicativo esclusivo ed escludente, che è però funzionale alla crescita e al benessere emotivo, fisico e psicologico, purché diminuisca progressivamente, per non sfociare in un rapporto problematico o patologico.
Anche qui allora risulta molto importante il ruolo svolto dal papà, che progressivamente separa, si appropria di spazi, da pressoché esclusivo sostegno alla madre diviene elemento attivo nella cura e nell’educazione, non più solo esecutore di compiti a lui affidati, ma – soprattutto – soggetto che partecipa con un suo modo, diverso da quello materno e, proprio per questo, fondamentale perché la separazione possa iniziare e compiersi.
Un papà che sa portare un conflitto sano e sa gestirlo
In questa sua azione di separazione il padre è dunque un portatore di conflitto, un conflitto sano tuttavia, necessario per la madre, per il bambino e per l’equilibrio della relazione tra i due, nonché di quelle che legano l’intero gruppo familiare. Un conflitto che lui stesso deve saper “sopportare”, cioè gestire fisicamente ed emotivamente, senza abbandonare l’altrettanto fondamentale funzione di sostegno della madre e – adesso – anche del bambino nell’esperienza della frustrazione e del rispetto delle regole.
Questo non significa che il padre è solo colui che norma e sgrida, la persona a cui si ricorre per ottenere qualcosa attraverso la minaccia del “Questa sera lo dico a papà!”. Né tantomeno significa che il padre diventa l’amico e il complice che “sta dalla parte” del figlio.
Il padre è invece alleato della madre, perché c’è coesione nel progetto educativo pensato e condiviso, sa ascoltare i bisogni e le fragilità dei figli, senza minimizzarle perché poco “maschili”, sa giocare con loro, sa guardarli con ammirazione e amore per trasmettere la sicurezza di valere ed essere importanti, ma sa anche essere autorevole e distaccato, sa contenere e regolare.
È dura essere un “nuovo padre”… e i rischi sono grandi
Il neopapà – qui nel senso di “nuovo padre” – deve essere dunque una guida, un rifugio e, al tempo stesso, una figura normativa. Obiettivo decisamente complesso e arduo da raggiungere, ma che può preservarlo da due derive molto pericolose, delineate proprio da Pietropolli Charmet nel suo Un nuovo padre. La prima trova la sua forma nel “padre debole”, perché impegnato solo nella ricerca del consenso da parte dei figli, da perseguire con ogni mezzo, anche mettendosi contro la madre. La seconda si concretizza invece nel “padre che cerca il rispetto”, l’amore e l’accettazione del proprio ruolo attraverso una forma di amicizia con i figli pericolosa e deleteria, fatta di continue negoziazioni, spiegazioni e convincimenti.
Un buon padre si fa insieme, nella famiglia
Ma, se il compito è arduo e le possibili derive pericolose, tutto può diventare più realizzabile e raggiungibile se ci fermiamo a riflettere su alcune dinamiche personali e famigliari importanti. Eccone alcune che a nostro avviso, sulla base della privilegiata esperienza che facciamo quotidianamente proprio con le famiglie, svolgono un ruolo essenziale.
Madri non ingombranti
Affinché il padre possa trovare un proprio modo di essere “nuovo”, la condizione essenziale è che la madre lo consenta e accetti di farlo entrare nell’educazione dei figli come protagonista e proprio alleato, e non come semplice comparsa.
Madri e padri coesi
La coesione e l’accordo tra madre e padre è la base per una crescita emotiva equilibrata del bambino.
Padri consapevoli di essere un modello
Quando il padre inizia a separare la madre e il figlio, cominciano il suo ruolo di regolatore delle emozioni e la sua responsabilità diretta nei confronti del piccolo: non è più solo di supporto alla mamma, ma modello e specchio in cui il figlio inizia a riflettersi.
Padri con un codice paterno
La diversità del codice comportamentale e comunicativo del padre rispetto a quello della madre è un enorme valore e una risorsa preziosa: la stessa situazione può essere affrontata diversamente, perché mamma e papà sono persone diverse. Non è importante, anzi, è deleterio forzarsi per avere un unico comportamento di fronte alle differenti situazioni (da un ginocchio sbucciato a un accesso di rabbia). È importante, invece, essere autentici di fronte alle varie situazioni e apportare il proprio contributo originale nell’affrontarle, purché ci sia sempre una condivisione della finalità dell’intervento.
Padri che insegnano con il gioco
Il padre porta il saper fare anche attraverso la condivisione del gioco, spazio di apprendimento principe durante l’infanzia. I padri giocano in modo diverso dalle madri, ed è giusto che sia così, che seguano le proprie inclinazioni, perché in questo modo il momento ludico sarà più autentico e divertente. I padri sono spesso più fisici nel gioco, basti pensare alla lotta, che oltre a divertire è anche un grande insegnamento di rispetto, di limiti e di confini corporei, durante il quale il genitore può e deve continuare a ricoprire il suo ruolo di regolatore. Un ruolo importante non solo nella lotta però, perché, giocando, è facile che si raggiunga il parossismo e, quando ciò accade, è fondamentale che il padre sappia riprendere il suo ruolo di moderatore e normatore per riportare la situazione a uno stato di calma, anche interrompendo il gioco quando necessario.
Padri che parlano di quello che provano
Il padre deve interessarsi alle attività dei figli, non stancarsi di far loro domande su quello che fanno e, a sua volta, raccontare quello che lui fa, condividendo anche come si sente: la sfera emotiva e la condivisione delle emozioni – tutte! – non deve essere delegata esclusivamente alla figura femminile, perché c’è una cosa che non dobbiamo mai dimenticare: le emozioni non hanno genere.
Ancora una volta, si torna alle emozioni
Questa forse è la grande innovazione della nuova figura paterna: la competenza emotiva espressa attraverso la parola. Poiché i figli imparano soprattutto dall’esempio, è bene vivere una realtà in cui i padri parlano di sé e di cosa provano, e non solo di quello che fanno, in cui chiedano alla mamma e ai bambini come si sentano e sappiano anche dire “A volte mi sento…”. Qualche volta – perché no – anche leggendo insieme un libro!
Elisabetta Rossini ed Elena Urso
Amiche dall’Università, non ci siamo più lasciate. Una passione travolgente comune: la cura per le relazioni! Base essenziale per crescere e costruire una società. E qual è la relazione prima e fondante? Quella tra genitori e figli naturalmente. Eccoci dunque all’opera ogni giorno con loro, per fare un pezzo di strada insieme nella costruzione di questo prezioso rapporto, ricco di emozioni contrastanti, spesso faticoso, ma sempre entusiasmante. D’altronde si sa: L’ducazione è una forma d'amore. E dura per sempre...