spearman e la teoria bifattoriale dell’intelligenza

Preselettiva TFA sostegno: Spearman e la teoria bifattoriale dell’intelligenza

Mentre attendiamo la pubblicazione del Decreto ministeriale che autorizzerà l’avvio dell’VIII ciclo di TFA Sostegno Didattico, continuano i nostri approfondimenti su alcuni degli argomenti più richiesti nelle prove ufficiali degli ultimi anni. In questo articolo ci concentriamo sulla teoria bifattoriale dell’intelligenza di Charles Spearman.

Spearman e l’analisi fattoriale dell’intelligenza

Uno dei più significativi contributi allo studio dell’intelligenza è quello di Charles Spearman, che con i suoi studi apre il campo all’analisi fattoriale dell’intelligenza stessa, cioè quel particolare tipo di analisi che mira a ridurre un più vasto insieme di variabili osservate a un insieme inferiore di variabili non osservate o latenti, cioè a delle categorie generali – dei “fattori” – in grado di spiegare perché più variabili diverse tra loro varino insieme, ovvero perché esista tra queste una correlazione positiva per cui la variazione di una interessa anche la variazione dell’altra. Nella pratica ciò si traduce, per Spearman, nel ricondurre le più numerose variabili osservabili rappresentate da tutti i test di intelligenza da lui esaminati, a un numero ridotto di fattori che possano giustificare la correlazione positiva esistente tra test diversi.

Nel corso dell’analisi così condotta, Spearman evidenzia che esiste un numero statisticamente rilevante di tali correlazioni positive tra test di intelligenza differenti per cui, se una persona ottiene una buona prestazione in un determinato tipo di test, per esempio verbale, allora tende ad averne una di livello simile anche in test con contenuto differente, per esempio matematico. E lo stesso vale se la prestazione è di livello basso o medio.

Il fattore s e il fattore g nella teoria bifattoriale di Spearman

Per spiegare tale correlazione, dunque, ipotizza che le misure di abilità mentali relative a un particolare test possono essere spiegate come l’interazione di due tipi di abilità: 1) un’abilità generale comune a tutte le abilità cognitive, la quale è riconducibile a un fattore generale (fattore g); 2) l’abilità specifica necessaria a compiere un particolare compito cognitivo, che, diversamente, è riconducibile a un fattore specifico (fattore s). L’ipotesi che, a suo avviso, i dati confermano è che il fattore g riflette quella capacità mentale “generale” per cui le persone non sono intelligenti solo in certi ambiti specifici, bensì globalmente e, su questi presupposti, formula la sua teoria bifattoriale dell’intelligenza, secondo la quale l’intelligenza stessa è la specifica risultante di due “fattori” intimamente correlati, tra cui il fattore generale riveste un peso decisamente maggiore.

Secondo Spearman, infatti, il fattore g, interviene, seppure in forme diverse, in ogni prestazione intellettiva, cioè in molte attività cognitive diverse, pur senza mai specializzarsi in nessuna di queste, e, in quanto elemento che accomuna le prestazioni intellettive in molti domini, rappresenta una sorta di energia mentale, la quale è diversa per ciascun individuo e, quindi, tale da determinare e giustificare le differenze interindividuali in ogni tipologia di prestazione cognitiva. Diversamente, il fattore s è “specifico” in quanto si specializza in diverse abilità come, per esempio, quelle motoria, verbale, numerica o spaziale, e interviene, dunque, in specifici compiti cognitivi.

Un’altra differenza fondamentale tra i due fattori individuati da Spearman sta nel loro rapporto con l’esperienza. Se infatti il fattore g è innato e, dunque, non è modificabile dall’esperienza stessa, il fattore s è invece il risultato dell’apprendimento e dell’interazione con la realtà del mondo.

La teoria bifattoriale di Spearman è ancora valida?

Tale riflessione ha aperto il campo a un ampio dibattito tra coloro che ritenevano il fattore g come una condizione ereditaria (innatisti) e coloro che, diversamente, sottolineavano il ruolo determinante dell’ambiente (ambientalisti). Oggi, però, questa disputa può ritenersi superata, in quanto l’intelligenza è vista come un “sistema dinamico” all’interno del quale le componenti innate e quelle ambientali interagiscono continuamente nell’esperienza.

In ogni caso, sebbene la teoria bifattoriale di Spearman sia stata oggetto di grande dibattito e, in parte, contestata e superata da altre successive, tra cui quella di Louis Leon Thurstone, rappresenta comunque un momento fondamentale negli studi sull’intelligenza poiché, in un periodo storico molto proficuo per queste ricerche (gli inizi del ’900) e in cui si comincia a porre grande attenzione alla misurazione dell’intelligenza stessa, prova a trovare un punto di incontro tra la visione che vedeva l’intelligenza come un’entità unica (sostenuta da Francis Galton) e l’altra secondo la quale, invece, era un insieme di entità distinte (sostenuta da Alfred Binet), un punto di incontro che, allo stesso tempo, fosse in grado di giustificare le evidenze che emergevano dai test ai quali si lavorava sempre più intensamente.

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