linguaggio non verbale

Strategie didattiche per sviluppare il linguaggio non verbale e visivo-motorio in riferimento all’autonomia scolastica. Esempio di traccia svolta per la prova scritta del TFA

Mentre in tutta Italia cominciano a svolgersi le prove scritte per l’ammissione al TFA, noi della redazione Edises continuiamo a offrirvi degli esempi di tracce svolte ufficiali proposte dagli Atenei in sede d’esame.

Oggi ci occuperemo di come introdurre, grazie alla possibilità offerta dall’autonomia di ricerca sperimentazione e sviluppo di cui godono le scuole, delle strategie innovative per sviluppare il linguaggio non verbale e visivo-motorio nella scuola secondaria di primo grado.

Esempio di traccia

Il candidato illustri le strategie innovative per sviluppare il linguaggio non verbale e visivo-motorio, facendo riferimento alla normativa sull’autonomia scolastica (Università degli studi di Palermo, 2019/2020, scuola secondaria di primo grado).

Strategie innovative per sviluppare il linguaggio non verbale e visivo-motorio: punti da sviluppare nella traccia

  • Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nel D.P.R n. 275/1999
  • Il ruolo dei docenti e della scuola nel produrre innovazione
  • Stili cognitivi e di apprendimento
  • Strategie innovative per sviluppare il linguaggio non verbale e visivo-motorio: la visual literacy, cioè l’alfabetizzazione visiva
  • Come sviluppare le competenze visive

Strategie innovative per sviluppare il linguaggio non verbale e visivo-motorio: svolgimento della traccia

Vediamo qui di seguito come sviluppare un possibile svolgimento di questa traccia per la prova scritta del TFA in base ai punti individuati.

L’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nel D.P.R. 275/1999

Nel 1997, con la Legge n. 59, viene ufficialmente introdotta l’autonomia delle istituzioni scolastiche che sancisce per le scuole la possibilità di individuare finalità, obiettivi, metodologie per definire un Piano Triennale dell’Offerta Formativa in cui elaborare un curricolo in grado di tenere nella dovuta considerazione le potenzialità e le esigenze del territorio sul quale la scuola stessa opera.

Due anni dopo, con il D.P.R. n. 275/1999, lo Stato offre uno strumento per regolare l’autonomia scolastica, cioè per dare delle norme utili ad applicarla conformemente a quanto stabilito dalla Legge n. 59/1977 e in tutte le sue grandi potenzialità, tra cui, quella che riguarda l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo costituisce senz’altro una delle più importanti.

Poter godere di autonomia in tale ambito, infatti, offre alle istituzioni scolastiche l’opportunità di sviluppare nuove proposte in molti ambiti, per esempio quello della progettazione formativa, dell’aggiornamento culturale e professionale degli insegnanti e di tutto il personale scolastico, della documentazione educativa e dei modi di condividerla all’interno e all’esterno della scuola, dello scambio di esperienze e materiali didattici, dell’integrazione tra diversi sistemi formativi, della didattica in generale e di quella volta a integrare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione all’interno dei processi formativi. Tutto al fine di portare un’innovazione in grado di travalicare i confini della singola istituzione scolastica e avere effetti positivi sul modo stesso di fare e vivere la scuola.

Il ruolo dei docenti e delle scuole nel produrre innovazione

È evidente che produrre innovazione non è compito facile e che, per avere effetti concreti sull’offerta formativa e sulla didattica, l’attività di ricerca, sperimentazione e sviluppo necessita di una situazione di contesto in grado di sostenerla. Diversi sono gli attori che fanno da protagonisti e la rendono possibile, tra questi, sicuramente i docenti sono tra i più importanti perché, con il proprio bagaglio di competenze, l’impegno sul campo e l’iniziativa personale e di gruppo, possono costituire il motore dell’innovazione, conducendola dall’ambito locale a quello nazionale.

Tuttavia, competenze, impegno e iniziativa dei docenti non sarebbero sufficienti senza il sostegno pratico delle istituzioni scolastiche in cui operano. Ecco perché, tra i diversi ambiti nei quali queste godono di autonomia, è senz’altro fondamentale, in tal senso, quello organizzativo, poiché l’autonomia rispetto a questo aspetto consente alle scuole di adottare, anche nell’impiego stesso dei docenti, delle modalità “organizzative” che siano espressione di libertà progettuale coerente con gli obiettivi generali e specifici dei singoli indirizzi di studio.

Innovazione nella didattica e stili di apprendimento

L’innovazione in ambito scolastico può nascere, dunque, solo da una sinergia e può coinvolgere ambiti diversi, tuttavia, in questa sede, ci concentreremo sulle ricadute in campo didattico – dove gli insegnanti possono concretamente fare la differenza –, in particolare, quelle che negli ultimi anni hanno portato l’introduzione di strategie innovative volte a sviluppare canali di apprendimento diversi da quello verbale.

Come ormai emerge chiaramente dagli studi sull’apprendimento, che si appoggiano sulle conquiste scientifiche in ambito pedagogico, psicologico e neuroscientifico, esistono diversi stili cognitivi, cioè diversi modi con cui possiamo elaborare le informazioni che riceviamo dall’ambiente in cui viviamo e con cui adoperiamo e gestiamo le nostre funzioni mentali.

Se dunque usiamo stili diversi per far funzionare la nostra mente, questi stili hanno ricadute anche su tutti i nostri processi cognitivi, sia quelli considerati “di base”, come la percezione, l’attenzione e la memoria, sia quelli considerati “complessi”, come il pensiero, il linguaggio, le emozioni, la motivazione e, naturalmente, l’apprendimento.

È chiaro, dunque, che a stili cognitivi differenti possono corrispondere anche stili di apprendimento differenti, in merito ai quali esistono diversi tipi di classificazione. Una di queste si basa sulla considerazione del canale o dei canali sensoriali che la persona predilige nell’acquisizione delle informazioni: se lo stile verbale, quindi, predilige il linguaggio scritto, quello iconografico (visivo) ama le immagini, lo stile uditivo preferisce l’ascolto e quello cinestetico il movimento.

In ambito scolastico, lo stile verbale è senz’altro quello che ha avuto e ancora ha maggiore spazio: le attività che coinvolgono la lettura e la scrittura sono quelle prevalenti, basti pensare a quanto si impara ancora oggi dai libri o da altri testi scritti e a quanto viene richiesto in termini di scrittura di appunti, relazioni, ricerche, composizione di diverse tipologie di testo.

Senza togliere nulla alla sua importanza e alle sue enormi potenzialità, è però doverosa una riflessione sul fatto che non tutti gli studenti sono caratterizzati da uno stile di apprendimento verbale e che, quindi, può essere importante portare, sempre di più, nella pratica didattica delle attività che possano coinvolgere in maniera più significativa anche gli altri canali che le persone possono usare nell’apprendimento.

L’importanza di questa scelta va non solo nel senso dell’inclusività e di una scuola che sia “per tutti”, e che tenga conto del contributo di Howard Gardner in merito ai diversi tipi di intelligenza, ma anche nella direzione della diversificazione della didattica, della sperimentazione e dell’innovazione volta a potenziare aspetti e capacità che possono essere utili ed efficaci per l’apprendimento di ciascuno.

Strategie innovative per lo sviluppo del linguaggio non verbale e visivo-motorio: la visual literacy

Un’altra riflessione doverosa, allora, è quella sull’importanza che nella società in cui viviamo oggi – anche come effetto dell’importanza sempre maggiore che, a partire dalla diffusione della fotografia, svolgono le immagini – sta acquisendo sempre più spazio l’uso di “visualizzare i concetti”, una situazione che sta portando le “competenze visive” a guadagnare progressivamente centralità nella vita quotidiana e nella comunicazione.

A partire da queste considerazioni, il pensiero va in maniera naturale al concetto stesso di competenza, intesa come una dimensione che è possibile sviluppare e nella quale, come sappiamo bene, la scuola svolge un ruolo importantissimo dal quale non può tirarsi indietro, anche quando si tratta di competenze specifiche come quelle visive.

In questo particolare ambito, si parla oggi di “alfabetizzazione visiva”, nota anche come “visual literacy”, cioè quel tipo di insegnamento finalizzato a sviluppare la capacità di leggere, interpretare e comprendere le informazioni quando queste sono veicolate da immagini, da grafici o da una comunicazione non verbale, come per esempio oggetti, azioni, movimenti, espressioni, simboli. In realtà, più che di una singola capacità, l’alfabetizzazione visiva può essere considerata un insieme di competenze, quelle che possiamo sviluppare sfruttando pienamente il canale visivo e integrando le informazioni che “vediamo” con altre provenienti simultaneamente da altre vie sensoriali.

Se il senso è, dunque, quello di imparare a comprendere e a scambiare informazioni che viaggiano sul canale visivo e di dare loro un significato sia in entrata che in uscita, in un certo senso potremmo vedere la visual literacy come una sorta di linguaggio che possiamo e dobbiamo apprendere e far apprendere anche ai nostri studenti.

Come favorire lo sviluppo del linguaggio non verbale e visivo motorio

Come fare allora a sviluppare nei nostri studenti la competenza su questo linguaggio non verbale e visivo che riguarda anche, come abbiamo visto sopra, l’interpretazione di azioni, espressioni e movimenti e coinvolge, dunque, anche il canale motorio? Quali strategie possiamo usare sia per aiutarli a decodificare e comprendere questo tipo di linguaggio e a usarlo, a loro volta, per comunicare e per apprendere?

Le ricerche in questo ambito, sebbene ancora in ampliamento, ci danno già degli elementi importanti su cui lavorare. Qui, vogliamo soffermarci su due in particolare che ci sembrano particolarmente interessanti e ci permettono di fare un collegamento con una risorsa importantissima e centrale dell’era tecnologica in cui viviamo.

Il primo riguarda l’uso della grafica interattiva per fare la matematica, piuttosto che studiarla da un libro dove è “già fatta”, cioè per costruire le idee matematiche nella mente al fine di poterle utilizzare ed esprimere anche con le parole. Il secondo riguarda la strategia che consiste nell’accompagnare la descrizione di argomenti o di procedure con delle immagini, sia statiche sia animate, e di abbinarle a dei brevi testi che sintetizzino il concetto espresso dall’immagine stessa.

In entrambi i casi, questa sinergia tra immagine e linguaggio verbale, con la possibilità che offre allo studente e all’insegnante di interagire con i contenuti veicolati, rimanda chiaramente al senso stesso della multimedialità, una dimensione alla quale siamo ormai abituati e che ci consente di comunicare informazioni, di riceverle e di apprendere attraverso più canali sensoriali, tra cui quello visivo sia verbale sia non verbale acquista un ruolo centrale.

Allo stesso tempo, l’idea stessa di interattività, rimanda a quella di azione, partecipazione, coinvolgimento che, a loro volta, si connettono e intrecciano con il concetto di “costruzione” del sapere, quella costruzione che è oggi ritenuta elemento indispensabile per un apprendimento significativo così come immaginato da David Ausubel, cioè capace di integrare le nuove conoscenze all’interno della struttura cognitiva già esistente e di permetterne una riorganizzazione.

Conclusioni: strategie innovative tra multimedialità e laboratorialità

Se dunque stiamo cercando di individuare quelle strategie innovative in grado di sviluppare il linguaggio non verbale e visivo motorio, allora possiamo trovarle non solo nel nostro presente dalle grandi potenzialità tecnologiche e dagli strumenti multimediali sempre più raffinati che ci offrono, ma anche in un passato non molto lontano, quello in cui è nato e si sviluppato quel learning by doing che affonda le sue radici nell’attivismo di John Dewey e trova una via espressiva potente nella didattica laboratoriale.

Una riflessione conclusiva allora va fatta su un elemento che ci sembra importante e riguarda proprio questi due aspetti individuati nel discutere di strategie innovative, ovvero la multimedialità e la laboratorialità. Se, infatti, oggi anche grazie alla tecnologia, che può entrare facilmente in classe in vari modi – tra cui senz’altro la LIM è uno dei più “facili” e meno problematici – la didattica multimediale è una pratica sempre più presente, per quanto riguarda la didattica laboratoriale le cose stanno diversamente, soprattutto se si pensa alla scuola secondaria, e molto si può fare per renderla più centrale.

Come insegnanti abbiamo molte possibilità per sfruttare al meglio le opportunità della multimedialità e le potenzialità “costruttive” della laboratorialità, non ci resta che esplorarle e praticarle, anche per sviluppare nei nostri alunni competenze sempre più capaci di sostenerli nel mondo che stiamo costruendo per loro.

Preparati per la prova scritta del TFA con Edises

Questo esempio di traccia svolta è stato realizzato dalla nostra redazione per offrirti una possibile idea di svolgimento di prova ufficiale proposta nei precedenti concorsi di ammissione al TFA sostegno didattico. A partire dai nuclei concettuali evidenziati nella prima parte dell’articolo, potrai tu stesso integrarli ed elaborare la tua traccia personale e così esercitarti in vista dell’imminente prova scritta.

Per altri esempi di svolgimento, ti consigliamo di consultare la sezione del blog Edises dedicata al TFA sostegno e di scoprire il nostro volume Tracce svolte per la prova scritta, di cui potrai sfogliare una anteprima gratuita dell’indice seguendo il link qui sotto.

Prova scritta TFA sostegno

Il testo Tracce svolte per la prova scritta di EdiSES è aggiornato con le prove del VII ciclo.

I contenuti contengono spunti e suggerimenti su:

  • competenze socio-psico-pedagogiche
  • competenze su empatia e intelligenza emotiva
  • competenze su creatività e pensiero divergente
  • competenze organizzative.
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