L’educazione alle emozioni nella Philosophy for Children

I cittadini di una democrazia dovrebbero essere riflessivi, introspettivi, responsabili, ragionevoli, collaborativi, cooperativi… Se solo riconoscessimo che dobbiamo rinforzare le capacità riflessive degli studenti invece di aumentare a dismisura i contenuti di conoscenza da trasmettere loro o invece di credere di aver risolto ogni problema attraverso l’alfabetizzazione informatica… Ecco, l’‘educazione al pensare’, la promozione di un ‘pensiero di alto livello’ dovrebbero essere un obiettivo primario per l’educazione nel ventunesimo secolo.

Si tratta di uno stralcio dall’intervista a Matthew Lipman che Maura Striano, appassionata e studiosa del filosofo pedagogista, ha realizzato pochi anni prima della sua morte, avvenuta nel 2010 a 87 anni. Riconosciuto come il fondatore di Philosophy for Children, Lipman era convinto che i bambini possiedano naturalmente la capacità di pensiero astratto e che l’educazione precoce alla logica li aiuti a migliorare la capacità di ragionamento.

Da qui, la voglia di saperne di più.

Incontro Maura Striano, ordinario di Pedagogia generale presso la Federico II di Napoli, che dirige il corso di formazione in Philosophy for Children presso lo stesso Ateneo. Lo spunto che dà l’avvio alla nostra conversazione lo trovo navigando online, nelle belle parole della compagna di lavoro di Lipman, Ann Sharp, principale artefice della teorizzazione della “Comunità di ricerca filosofica”, promossa fin dal 1991 dall’associazione Crif – Centro di ricerca sulla indagine filosofica.

La scuola, contesto indispensabile per lo sviluppo delle emozioni e delle relazioni

Velia “Avere il sostegno delle nostre emozioni significa conoscere la complessità di ciò che avviene nel rapporto fra noi, gli altri e l’ambiente”. Sono parole di grande attualità quando si parla di adolescenti e di analfabetismo emotivo, la professoressa Ann Sharp, cofondatrice con il professor Lipman dell’Institute for the Advancement of Philosophy for Children a Montclair nel 1974, era stata molto lungimirante. La scuola può fare molto in questo senso, non sostituisce la famiglia naturalmente, ma può sostenerla con grande profitto nel difficile percorso di educazione alle emozioni. In che modo, secondo te?

Maura La scuola, attraverso apposite pratiche educative, può aiutare i bambini e gli adolescenti a diventare consapevoli delle proprie emozioni, a controllarle e a gestirle tenendo conto di diversi contesti e situazioni. Imparare a riconoscere le emozioni in se stessi e negli altri, a dar loro un nome, a esprimerle attraverso una molteplicità di canali e di linguaggi è estremamente importante per la crescita emotiva e relazionale.

La scuola può essere un contesto fatto di “attori, scopi e memorie” (nel senso descritto da Siegel & Cohen, in Context and Development), che giocano un ruolo determinante nello sviluppo psicoaffettivo, affiancandosi alla famiglia o, talvolta, anche facendone le veci laddove questa sia carente o problematica. In Thinking in Education, Lipman afferma che quello che i bambini probabilmente si aspettano dalla scuola è un surrogato di casa e di famiglia, che costantemente stimoli il pensiero e il linguaggio. Ed è quindi questo il compito che la scuola stessa deve prefiggersi.

A scuola è possibile essere riconosciuti come persone, aiutati a scoprire le proprie intenzionimotivazioni e talenti, sostenuti nella organizzazione riflessiva delle proprie esperienze. Ed è a scuola che si impara ad assumersi la responsabilità per i propri comportamenti e per i compiti e gli impegni che bisogna portare a termine. Ma tutto ciò è irrealizzabile senza il coinvolgimento emotivo, la canalizzazione di energie e di risorse, la capacità di entrare in relazione con se stessi e con gli altri. Anche Gardner, quando parla di forme di intelligenza intrapersonale e interpersonale, sostiene l’importanza del contesto adeguato affinché si possano sviluppare, e la scuola può fare moltissimo in tal senso costruendo scenari adeguati a potenziare queste forme di intelligenza.

La famiglia, è qui che l’educazione emotiva comincia

Velia Dicevamo che la famiglia ha il compito primario di educare alle emozioni, deve saper capire e accogliere lo stato emotivo del bambino, dai primi giorni di vita (e anche prima) fino all’adolescenza, quando il cervello oscilla frequentemente tra sensazioni opposte. Tocca ai genitori dare un senso a tutto, trovare le risposte, costruire insieme ai propri figli la competenza emotiva che durerà tutta la vita. Non è semplice, puoi darci qualche indicazione pratica?

Maura Essere attenti e riconoscere lo stato emotivo dei bambini e degli adolescenti non è facile, a volte dissimulano, per vergogna, a volte sono eccessivamente altalenanti. Ma se trovano, sempre, uno spazio e un tempo che sanno essere dedicati a loro, lo riempiono di sé. Non è facile creare, nella routine degli impegni quotidiani, questo spazio e questo tempo, ma è indispensabile per sostenere i figli nella crescita. La famiglia gioca sempre meno un ruolo educativo, e deve invece impegnarsi a svolgerlo con continuità.

Altrettanto importante è offrire ai bambini e agli adolescenti spunti e stimoli per riflettere sulle proprie emozioni e motivazioni, ad esempio attraverso situazioni in cui possono identificarsi e riconoscersi, e così parlare di sé mentre parlano di altri. In questo, i film, i racconti, le favole, i romanzi, le storie insomma, viste o lette o ascoltate, giocano un ruolo centrale, irrinunciabile.

Così come è centrale, ed estremamente utile, il ruolo di forme espressive come la danza, la fotografia, la musica, la pittura, la scrittura, il teatro, preziose per aiutare i bambini e gli adolescenti a entrare in contatto con le emozioni proprie e altrui, per canalizzarle ed esprimerle attraverso linguaggi alternativi e complementari. Offrire ai più giovani l’opportunità di sperimentare queste forme espressive, di coltivarle e di utilizzarle, in forma amatoriale, senza pretese e senza impegni eccessivi, può essere davvero una occasione importante nello sviluppo della loro identità. Se poi riconosceranno in qualcuna di esse la propria vocazione, sarà una loro scelta.

Conoscere le emozioni per riuscire a controllarle

Velia Chi ha una buona educazione alle emozioni ha maggiori possibilità di far fronte alle situazioni critiche e alle difficoltà che la vita gli presenta. Perché? Quali sono le strategie che il cervello mette in atto?

Maura Se siamo allenati a riconoscere e a gestire le nostre emozioni saremo in grado di controllarle e riusciremo a non esserne sopraffatti. Ovviamente avremo sempre paura in presenza di un potenziale pericolo o di una situazione rischiosa o saremo in ansia di fronte a una prova da affrontare, ma avremo consapevolezza della natura e della intensità di ciò che proviamo, e questo ci aiuterà a gestire le situazioni problematiche.

Naturalmente a questa consapevolezza si affianca la conoscenza che abbiamo di noi stessi, dei nostri limiti e delle nostre risorse, conoscenza che si acquisisce attraverso un costante processo di riflessione sulle nostre esperienze.

Caring thinking: la dimensione della cura e dell’interesse nel pensiero complesso

Velia È attraverso il caring thinking che, secondo il professor Lipman, le emozioni entrano nel pensiero. Che cosa è questo pensiero che contiene l’idea della cura intesa nel senso più vero del termine?

Maura Lipman parla di pensiero complesso, all’interno del quale si intersecano tre dimensioni: “critica”, “creativa” e “caring”. La nozione di pensiero “caring” è stata presentata dal pensatore americano per la prima volta alla sesta conferenza internazionale sul pensiero a Boston nel 1994. Il termine “caring” è difficile da tradurre in italiano perché ha molte sfumature. In inglese, infatti, to care significa “prendersi cura di”, ma anche “importarsene” e quindi avere a cuore qualcosa e assumersi delle responsabilità nei suoi confronti. Il pensiero “caring” è basato sul riconoscimento che le emozioni sono forme di giudizio. Come avverte Lipman “l’emozione è la scelta, la decisione, il giudizio” in riferimento a cose, persone e questioni che hanno importanza per noi.

Questa forma di pensiero ha quattro aspetti, distinti ma profondamente interrelati: 1) attribuisce valore a cose e persone per le loro qualità e proprietà fisiche o spirituali, oppure valuta attitudini, comportamenti e qualità personali in riferimento a criteri e principi di ordine etico e consente di esaminare principi e valori; 2) permette di riconoscere le proprie emozioni e i propri sentimenti in riferimento a specifiche situazioni e di gestirli in modo appropriato; 3) sostiene l’impegno attivo, e ci consente di appassionarci e di impegnarci in una attività o per una causa; 4) è normativo, nel senso che ci aiuta a fare paragoni tra ciò con cui ci confrontiamo e come potrebbe o dovrebbe essere.

Secondo Lipman le emozioni possono essere educate se sono esaminate, sottoposte a critica, valutate, e il caring thinking, in tutti i suoi aspetti, può essere coltivato attraverso attività che ci impegnino a metterlo in pratica e può essere sviluppato in un contesto intersoggettivo, che ci offre la possibilità di confrontarci con le azioni, le esperienze e i pensieri degli altri.

L’educazione alle emozioni nella Philosophy for Children

Velia La Philosophy for Children (P4C) è un esempio di curricolo didattico che promuove l’educazione alle emozioni, nasce come modello educativo agli inizi degli anni ’70 da Matthew Lipman, docente di logica alla Columbia University di New York, nonché filosofo neopragmatista di formazione deweniana. Si tratta di un curricolo orientato all’incremento del pensiero complesso, che cosa è? E cosa si intende con “pensiero complesso”?

Maura Come ho detto prima, il pensiero complesso si articola in tre dimensioni, profondamente intrecciate. Lipman parla di high order thinking, “pensiero di alto livello”, che consente di esplorare le diverse dimensioni dell’esperienza umana e, allo stesso tempo, di riflettere su se stesso e sul suo modo di funzionare.

La dimensione “critica” del pensiero è fondata su criteri ed è autocorrettiva, il pensiero critico consente di formulare giudizi e di compiere una serie di atti cognitivi come classificare, elaborare e formulare assunti, fare inferenze, stimare, valutare. La dimensione “creativa” ci consente invece di creare, di costruire idee e ipotesi, di immaginare, di pensare per assurdo, di prospettare scenari. La dimensione “caring” come ho spiegato prima, ci consente di apprezzare, giudicare, impegnarci, valutare.

Tutte queste dimensioni, profondamente intrecciate, possono essere sviluppate attraverso l’esercizio del pensiero nell’esplorazione dei diversi campi di esperienza umana, come accade nella proposta della Philosophy for Children, in cui si sviluppano linee di indagine che consentono di affrontare problematiche logiche, estetiche, etiche e molto altro.

Il racconto filosofico per stimolare il pensiero complesso

Velia Ci descriveresti più nello specifico il curricolo Philosophy for Children?

Maura Il curricolo è un insieme di racconti destinati a diverse fasce d’età, in cui si presentano esperienze e situazioni da cui emergono problemi di ordine filosofico, che i bambini e gli adolescenti possono esplorare in un contesto adeguato.

Lipman e Sharp hanno identificato questo contesto nella “Comunità di ricerca filosofica”, spazio dialogico in cui i diversi punti di vista si incontrano e si confrontano in un processo di indagine a cui tutti danno un contributo unico e peculiare, attraverso l’esercizio riflessivo del pensiero, un pensiero di “alto livello” che si sviluppa prima sul piano interindividuale, cioè in relazione e in confronto agli altri,  per poi essere interiorizzato a livello intraindividuale, cioè in relazione a se stessi.

Dalla prima pubblicazione dei racconti, all’inizio degli anni ’70, la Philosophy for Children si è affermata come progetto pedagogico in tutto il mondo. La stessa divisione di Filosofia dell’Unesco ne ha riconosciuto la validità e recentemente il Miur ha stipulato un protocollo di intesa con il Crif, per introdurre la Philosopy for Children nelle scuole italiane con una serie di azioni.

Come formarsi al curricolo Philosophy for Children

Velia Mi sembra sempre più evidente che la Philosophy for children sia un percorso molto strutturato e ragionato, che, pur servendosi di strumenti facilmente reperibili e attuabili, come il racconto e il dialogo di gruppo, presuppone che questi siano supportati da un adulto in grado di “condurli” per sfruttarne a pieno le immense potenzialità. Come e dove insegnanti ed educatori possono formarsi alla Philosophy for Children?

Maura Presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II è attivo un corso di aggiornamento e formazione professionale per introdurre all’uso del curricolo insegnanti ed educatori. Altri corsi di formazione sono attivi presso l’Università di Padova e di Firenze mentre il Crif gestisce una summer school, che è arrivata alla diciannovesima edizione.

Personalmente credo molto nelle potenzialità educative del programma, con il quale lavoro da vent’anni ormai, perché ho potuto verificarne gli esiti anche in contesti particolarmente difficili, come ad esempio Scampia, dove abbiamo introdotto la Philosophy for Children a partire dalla scuola dell’infanzia, già nel 1995.

L’importanza della capacità di confronto nella società globale

Dunque il pensiero complesso alimenta la capacità di confronto, dalla quale sarà impossibile prescindere in futuro. La sfida sarà condividere e comunicare i saperi sviluppando l’attitudine a trattare i problemi in modo globale. Grazie Maura, come te, anche noi crediamo nelle possibilità di un metodo che fa “dell’educazione al pensiero” il suo punto di forza.