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Prova orale TFA in sostegno didattico: Discutere di empatia e intelligenza emotiva a scuola

Anche quest’anno l’empatia e l’intelligenza emotiva sono tornati come temi importanti delle prove scritte per l’ammissione al TFA in sostegno didattico di diversi atenei, come quelli di Salerno, di Bari e di Messina per esempio, ma anche di Napoli, dove il Suor Orsola Benincasa ha proposto una traccia che ho trovato molto stimolante in cui si chiedeva ai candidati una strategia per l’alfabetizzazione emotiva nel passaggio tra scuola secondaria di primo e secondo grado.

Ed è proprio mentre sto sviluppando questa traccia per i prossimi aggiornamenti a breve disponibili nelle estensioni online del nostro volume Tracce svolte per la prova scritta, che ho avuto l’occasione di riflettere ancora una volta sul tema delle emozioni e sulla necessità di portare l’alfabetizzazione emotiva nella nostra scuola pubblica come quel fil rouge che tutto attraversa e tutto collega.

Le condivido qui con voi perché penso che sia sempre utile fermarsi a riflettere su questo tema e anche perché sono convinta che ogni approfondimento sull’intelligenza emotiva, su come, quando e dove allenarla e su cosa fa il nostro Paese a livello normativo per renderla una pratica diffusa possa essere utile per la prova orale che molti di voi devono ancora sostenere come ultimo passo per l’ammissione al prossimo TFA in sostegno didattico.

L’importanza dell’alfabetizzazione emozionale

L’apprendimento non avviene a prescindere dai sentimenti dei ragazzi. Ai fini dell’apprendimento, l’alfabetizzazione emozionale è importante come la matematica e la lettura.

Con queste parole di una insegnante di Scienza del sé del Nueva Learning Center di San Francisco, Daniel Goleman, ormai quasi trent’anni, fa argomentava la sua convinzione sulla necessità di promuovere l’alfabetizzazione emotiva nelle scuole e ce ne portava testimonianza nel suo Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici.

Oggi, il concetto che queste parole veicolano è entrato diffusamente nelle teorie pedagogiche e didattiche e nelle normative che vi si fondano. Le “emozioni” sono uno degli argomenti su cui le Indicazioni nazionali del 2012 portano più volte l’attenzione in relazione alla capacità di esprimerle, comprenderle, svilupparle per l’acquisizione dell’autonomia e per l’apprendimento stesso.

Le competenze che rientrano – con buon accordo della comunità scientifica – tra quelle indicative di una intelligenza emotiva ben sviluppata, come l’autoconsapevolezza, la capacità di gestire le emozioni, l’empatia e l’abilità di stabilire relazioni sociali, sono anche tra quelle che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, già nel 1993 annoverava tra le life skills, cioè quelle “competenze che portano a comportamenti positivi e di adattamento e che rendono l’individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni”.

La Proposta di legge 2782: insegnamento sperimentale dell’educazione all’intelligenza emotiva

Eppure, come evidenzia la Terza indagine internazionale sull’educazione civica e per la cittadinanza promossa dall’International Civic and Citizenship Education Study, riportata nella Proposta di legge 2782 del 13 novembre 2020, “in Italia l’educazione alle competenze sociali ed emotive rappresenta il ‘pezzo mancante’ dei curricula scolastici e della formazione degli insegnanti.”

Un vuoto dunque, e importante, non solo perché, come ormai dimostrato ampiamente dalle neuroscienze, si apprende principalmente attraverso le emozioni, ma anche perché, come ci insegnano Goleman e le tante voci autorevoli nel campo dell’intelligenza emotiva che anche lui ha contribuito a far conoscere, quel vuoto nello sviluppo della nostra parte affettiva può portare un profondo malessere individuale che conduce a comportamenti come la tossicodipendenza, il suicidio, l’alcolismo, il cui impatto sulla società è – come ben sappiamo tutti – notevole. Senza ovviamente dimenticare fenomeni come il bullismo e il cyberbullismo che, a cominciare dall’infanzia e dall’adolescenza rischiano di diventare dei problemi di difficile soluzione, con effetti drammatici nella vita di molti giovani.

Dove, quando, come e con chi allenare l’intelligenza emotiva

La notizia positiva che ci viene dalle evidenze in ambito psicologico, pedagogico e neuroscientifico è che una buona alfabetizzazione emotiva è possibile fin dai primi anni dello sviluppo e può avere un effetto preventivo proprio su questi comportamenti dannosi sia per la persona che per la comunità: dunque prima si inizia, meglio è. Ma c’è una notizia ancora migliore, e cioè che non è mai troppo tardi per allenare l’intelligenza emotiva, a condizione che si trovino, il luogo, il tempo, il modo e delle persone in grado di guidare l’allenamento.

La proposta di legge 2782 del 13 novembre 2020 è significativa in tal senso, perché individua, nella scuola, il luogo in cui sperimentare l’insegnamento dell’educazione all’intelligenza emotiva, nelle ore previste dal curricolo, il momento per farlo, e infine, ma prima di tutto, negli insegnanti, le persone in grado di portare avanti tale sperimentazione, affinché trovare un modo che possa diventare una pratica da estendere a tutte le scuole di ogni ordine e grado.

L’alfabetizzazione emotiva fa ancora tardi a scuola

C’è però anche una notizia negativa, anzi più di una. Innanzitutto, perché la data di questa proposta – 2020 – così come gli esiti delle indagini da cui prende spunto dimostrano che la strada da fare è ancora lunga affinché l’alfabetizzazione emotiva diventi una pratica diffusa e funzionale della scuola italiana. In secondo luogo, perché il rischio di passare agli insegnanti l’idea che educare emotivamente i propri alunni si converta in un altro carico di lavoro didattico e burocratico è reale.

In quanto al ritardo, il conforto è scarso, soprattutto se si tiene conto che la Proposta del 2020 è stata approvata, all’unanimità è vero, ma solo alla Camera e pur sempre a gennaio del 2022, per cui la la strada che dovrà percorrere è ancora lunga.

In quanto al timore di un maggior carico di lavoro didattico e burocratico, invece, la riflessione da fare per darci sollievo è che, per la sua stessa natura integrata nella mente umana, l’emozione non è tanto un “di più”, ma è piuttosto “un dentro”. È una dimensione che già c’è e che va solo guardata, raccolta nei suoi tanti fili intrecciati al nostro pensiero e al nostro agire, una dimensione che va solo conosciuta e riconosciuta nella centralità che riveste nella nostra vita e nel nostro apprendimento.

Dire “solo”, tuttavia, non significa dire “semplice”. Che educare alle emozioni a scuola sia un compito impegnativo e complesso, infatti, è vero, anzi, verissimo, in quanto richiede non tanto l’inserimento di strategie didattiche nuove, quanto piuttosto un cambio di prospettiva sul modo stesso di fare didattica, che tenga conto di come l’emozione può integrare e sostenere la cognizione, ricca di saperi e di saper fare, perché nella persona si crei quell’apprendimento che possiamo chiamare “cultura”, anzi, più precisamente “cultura umana”, la sostanza di un intelletto inteso come insieme di pensiero, emozione, azione e relazione.

Allenare l’intelligenza emotiva tra riflessione personale e strategie didattiche

Nell’agire pratico, a scuola, per un insegnante, prima ancora di avviare sperimentazioni sull’educazione dell’intelligenza emotiva e la formazione specifica necessaria, questo “cambio di prospettiva” deve tradursi nella volontà di intraprendere un percorso personale di riflessione sulla propria intelligenza emotiva, per acquisire quella autoconsapevolezza e quel controllo sulle proprie emozioni indispensabili al fine di porsi empaticamente come modello e guida dei propri studenti.

Con il bagaglio di ricchezza culturale e umana che un percorso di tal genere può consegnare nelle mani di chi ha scelto di fare dell’educazione e della trasmissione di conoscenze e competenze la propria professione, il vasto patrimonio di strategie didattiche a cui possiamo oggi attingere può essere consapevolmente utilizzato per educare, nello stesso momento, la cognizione nella sua forma più logica, ma anche più creativa, e l’emozione, con effetti positivi sul clima di classe e sulle relazioni che lo determinano.

L’intelligenza emotiva dall’infanzia e per tutta la vita

Come abbiamo detto, l’alfabetizzazione emotiva può iniziare dalla primissima infanzia, in famiglia, a scuola e dovunque ci siano degli adulti disponibili a dare spazio e modo a questo aspetto dello sviluppo dei propri giovani, quindi anche in tutta la vasta rete di agenzie educative extrascolastiche con cui la scuola può e deve collaborare.

Ma pensare all’educazione emotiva come un’attività che, per questioni cronologiche, riguardi principalmente la scuola dell’infanzia e quella primaria sarebbe un grave errore, poiché la consapevolezza sulla nostra sfera emotiva è una competenza che ci accompagna per tutta la vita e svolge un ruolo centrale nella capacità di continuare ad apprendere. Si tratta dunque di una capacità che va sviluppata con continuità, anche e soprattutto in quei passaggi cruciali dall’infanzia all’adolescenza e da questa all’età giovanile.

A tal proposito, sebbene sia bene non dimenticare mai che è l’intera comunità di noi adulti a doversi assumere la responsabilità di educare alle emozioni i più giovani, è altrettanto un bene essere consapevoli che gli insegnanti svolgono un ruolo di primo piano in questo difficile compito, rispetto al quale, insegnare all’infanzia, alla primaria, nella secondaria di primo grado o in quella di secondo grado, non fa alcuna differenza.

A essere diversi, tuttavia, sono ovviamente il linguaggio, le attività, il livello di approfondimento da proporre, ecco perché è necessario che, a seconda del grado di scuola, gli insegnanti sappiano trovare i modi più adatti alle esigenze dei propri studenti in funzione della loro età.

Alfabetizzazione emotiva negli adolescenti: partire dai loro bisogni per scegliere le strategie

Come ci spiega Erik Ericson, nell’età adolescenziale – cioè anche in quegli anni che scolasticamente segnano il passaggio dalla secondaria di primo grado a quella di secondo grado – i ragazzi e le ragazze sono in piena fase di definizione della propria identità, una fase in cui fanno esperienze significative in autonomia, in cui si confrontano con lo sviluppo di passioni forti e l’emergere sempre più definito delle proprie attitudini innate, un momento durante il quale cercano dei modelli nei quali immedesimarsi e in cui corrono il rischio di perdersi, ma sempre animati dal desiderio di sentirsi parte accettata e riconosciuta di un gruppo di pari.

In questa fase, dunque, più che mai, i giovani individui in crescita hanno bisogno di sviluppare autoconsapevolezza su ciò che sono e sentono e su quanto di unico c’è in questo essere e sentire, di allenare l’autocontrollo sulle emozioni intense che li pervadono nel corpo e nella mente, anche per instaurare con gli altri delle relazioni soddisfacenti, di convogliare interessi e passioni intensi in una motivazione che dia energia e forza al loro agire e li sostenga nell’impegno.

Età difficile. Ce lo dicono gli esperti, ce lo dice la nostra esperienza di adulti che, usciti dal mare in tempesta, ora navigano in acque più calme. Se lo sono davvero lo scopriremo strada facendo, ma al momento, da questo mare che almeno solchiamo su una barca un po’ più solida, guardiamo ai nostri giovani sulle loro barchette leggere alle quali man mano aggiungono un pezzo mentre qualcun altro lo perdono, e cogliamo ciò di cui hanno bisogno, per partire da lì e trovare, per loro, delle strategie utili a sviluppare pienamente quell’intelligenza emotiva che rappresenta la migliore imbarcazione disponibile.

Nell’esempio di traccia svolta che potrete leggere a breve nelle estensioni online del nostro volume Tracce svolte per la prova scritta, sto sviluppando un esempio di attività basata su alcune strategie didattiche molto note e conosciute che, a mio avviso, hanno delle potenzialità enormi per sviluppare l’intelligenza emotiva negli adolescenti.

Si tratta della narrazione, del circle time e del cooperative learning, che usate insieme consentono quella riflessione prima individuale e poi condivisa e organizzata, con e grazie al gruppo, in grado di rispondere a due tra le principali esigenze di questa età: definire la propria identità individuale e unica fatta anche di interessi e talenti e far sì che questa sia accettata, riconosciuta, accolta nel gruppo di coetanei.

Perché per narrare abbiamo bisogno prima di stare soli con noi stessi a organizzare il nostro pensiero e poi di qualcuno che sia disponibile ad ascoltarci e a entrare in quella narrazione rendendola ancora più ricca.

Tracce svolte per la prova scritta

Le tracce si basano sulle principali tematiche dell’integrazione scolastica, così come previsto dai programmi d’esame.
Gli elaborati contengono spunti e suggerimenti sulla normativa riguardante gli alunni diversamente abili, con indicazioni operative sui percorsi di integrazione/inclusione, sui vari aspetti della metodologia didattica orientata all’inclusione, sulla metacognizione, ipotizzando i possibili interventi volti a migliorare la capacità di autoregolazione degli alunni con difficoltà.

Molta attenzione viene dedicata alle buone prassi che una scuola, in una visione di collegialità, deve mettere in atto se intende favorire realmente il processo di integrazione di tutti gli alunni, all’apprendimento cooperativo, con molteplici esempi di modalità di interazione tra gli allievi, ai laboratori, con numerose tipologie di attività e di percorsi atti a conferire la flessibilità di cui necessita un ambiente educativo di apprendimento pensato per tutti.

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Come prepararsi alla prova orale con Edises

Se ti stai preparando alla prova orale per il TFA in sostegno didattico e ti è piaciuta questa riflessione sull’intelligenza emotiva e l’empatia, vieni a scoprire gli altri approfondimenti che abbiamo pubblicato su questo blog sui principali temi che possono essere argomento d’esame!

Se vuoi approfondire anche il tema dell’educazione e dell’intelligenza emotiva, visita il nostro blog Occhicielo!

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