Il 3 ottobre il Ministero ha pubblicato il Piano triennale per la formazione dei docenti: un documento di ben 10 capitoli su 88 pagine.
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Il punto di partenza è dato dal comma 124 della legge n. 107/2015, che definisce, per i docenti di ruolo, “obbligatoria, permanente e strutturale” la formazione in servizio: essa va progettata ed attuata in coerenza con il P.T.O.F. e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle scuole.
Entro il mese di ottobre dovrebbero essere emanate (pag. 86 del Piano):
- le Linee guida per l’introduzione del piano di sviluppo professionale per ogni docente;
- le Regole di funzionamento per l’obbligo della formazione e per il riconoscimento delle Unità Formative;
- indicazioni operative e strumenti per l’avvio del portfolio professionale del docente;
- i primi bandi associati alle diverse priorità della formazione, per i quali il MIUR organizza piani tematici e attività formative.
Gli argomenti dell'articolo
La formazione dei docenti come azione integrata nella vita dell’istituto e della scuola nazionale
La L.107/15 concepisce la formazione dei docenti secondo un’ottica di sistema: le attività di formazione (comma 124 dell’art. unico) devono da un lato nascere dal cuore del singolo istituto essendo
definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa [PTOF] e con i risultati emersi dai piani di miglioramento [PdM] delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento
di cui al DPR 80/13, dall’altro corrispondere a esigenze formative individuate dal centro, che stabilisce le priorità tematiche con il Piano nazionale di formazione elaborato triennalmente dal MIUR.
La promozione della professionalità di ognuno
Rispetto alla norma citata, il Piano Nazionale appena avviato per il 2016-2019 compie un passo ulteriore di grande importanza ponendo una terza dimensione sistemica: il legame delle attività di formazione dell’istituto con il Piano di sviluppo professionale individuale e il Portfolio digitale del docente finalizzati alla valorizzazione dei singoli insegnanti. Di questi il dirigente deve tener conto nell’elaborare il Piano della formazione a livello di istituto.
Il nesso che si vuole instaurare tra formazione per tutti e sviluppo della specifica professionalità di ognuno è uno degli elementi più significativi del Piano nazionale, se si considera che, anche e proprio sulla base del proprio piano e portfolio, il docente può chiedere di essere valutato (commi 127 e 129).
Si vuole, insomma, creare un clima di reale promozione e valorizzazione della diversa dotazione culturale, didattica, linguistica, digitale, ecc. dei docenti, nella convinzione che ciò costituisca l’humus per uno stile di continua ricerca di miglioramento.
Ciò dovrebbe far percepire come vecchio e stancamente conservatore il rifiuto più volte manifestato da una parte del mondo della scuola nei confronti di questa cultura della valorizzazione della professionalità individuale (come già nei confronti delle valutazioni Invalsi, che costituiscono invece uno storico passo avanti della scuola italiana).
Obbligatorietà della formazione: un’ovvietà che è una rivoluzione
Ma la coerenza sistemica sarebbe solo cartacea se la formazione non fosse “obbligatoria, permanente e strutturale” (comma 124). La vera rivoluzione, infatti, è l’obbligatorietà della formazione.
L’incredibile tenacia con la quale il mondo della scuola (e dei sindacati della scuola, che comunque dovranno essere sentiti prima di ogni Piano Nazionale per la formazione ha resistito per decenni all’obbligatorietà della formazione è stata sino ad oggi una grave ipoteca sulla dignità stessa della professione docente in Italia.
Dimensione specialistica della professione docente
Va ricordato, infatti, che per la scienza delle organizzazioni (Thmpson) una organizzazione si struttura attorno alla specificità della propria funzione tecnica.
Ciò vale in modo speciale per la scuola, ma, benché certamente la formazione sia da anni un impegno consistente e intelligente di molti istituti, la non obbligatorietà della formazione non consente di eludere del tutto la critica, per nulla paradossale, formulata anni fa dal pedagogista Vertecchi, secondo cui il mestiere d’insegnante è spesso concepito – anche all’interno della scuola stessa – come un’attività trasmissiva per la quale è sufficiente la disposizione etologica della nostra specie…
Il problema dei formatori
L’espansione della platea interessata alla formazione pone un impegno serio per il reperimento di formatori di qualità: il piano (cap.8.4) prevede che il MIUR, avvalendosi del sostegno dell’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Indire) raccolga “dal basso”, attraverso le indicazioni ricevute dalle scuole in base alle azioni di formazione svolte in rete e dalle attività dei propri piani nazionali, una banca dati dei migliori formatori. Naturalmente, l’entità del fabbisogno può costituire un problema.
Prosegue nella scuola un processo di adeguamento alla crescente complessità
È bene vedere la formazione dei docenti all’interno del deciso processo, in atto da anni, di adeguamento della nostra scuola alla crescente complessità della società dell’informazione e della conoscenza, con l’occhio attento agli standard internazionali.
Ciò vale in particolare per l’ambito delle tecnologie informatiche (Piano nazionale scuola digitale, del 2015, ecc.) e quello della promozione della lingua inglese (ad es. il progetto CLIL – Content and Language Integrated Learning per l’insegnamento in inglese delle varie discipline, ecc.).
Anche sul piano della definizione delle competenze il riferimento internazionale è significativo (recepimento nelle indicazioni Nazionali 2012 delle competenze definite dal Parlamento europeo nel 2006 e tematica della certificazione delle competenze nel secondo grado).
Di grande importanza inoltre il vasto impegno per l’inclusività (legge e Linee guida sui DSA, Direttiva e D.M. sui BES, Linee guida sugli alunni immigrati e, prima ancora, Progetto nuove tecnologie del 2007 e disabilità e Linee guida sugli alunni disabili seguita alla legge 8/09, che recepiva la Convenzione ONU del 2006).
Notevole poi lo sforzo di creare condizioni di rete a diversi livelli tra le scuole (CTS, scuole-polo, ecc.). Di decisiva importanza per l’adeguamento a standard internazionali – al di là di contrasti e polemiche – l’avvio da più di un decennio delle citate valutazioni INVALSI.
Le nove tematiche prioritarie. Centralità delle competenze di base
Nel piano attuale (cap.4) tra le nove tematiche prioritarie stabilite, prime fra tutte sono poste l’inglese (e le lingue straniere), le competenze digitali e scuola e lavoro, vale a dire i temi di più diretta connessione-competizione con gli altri paesi. Importanti anche le altre tematiche, naturalmente.
In particolare, però, tra tutto, non va dimenticata la centralità delle competenze di base, nelle quali la scuola italiana risulta particolarmente in difficoltà rispetto agli altri paesi, come nel Piano non si manca di ricordare (cap.4): comprensione del testo, matematica, attitudine applicativa generale di quanto appreso a scuola (secondo un documento dell’Unione matematica italiana sugli esiti delle prove OCSE-PISA 2012 “è un analfabeta matematico un ragazzo italiano su quattro”).
Il cuore della scuola sta negli aspetti nucleari della discipline sicché la formazione più strettamente riferito alla dimensione disciplinare deve comunque essere posta fisiologicamente come una costante nella formazione dei docenti, anche se è divenuto da tempo centrale il fatto che la formazione dei nostri studenti deve sposarsi perfettamente con un uso avanzato delle tecnologie dell’informazione e della conoscenza, dalla dimensione internazionale che impone l’inglese in tutte le professioni e da una crescente complessità a tutti i livelli.