Essere madre fuori dalle definizioni

Con l’approssimarsi della Festa della mamma, è facile che il pensiero di due mamme che tutti i giorni incontrano altre mamme e con loro condividono esperienze si soffermi sul senso dell’essere madre – oggi e sempre, qui e in ogni luogo del mondo – e sul significato, sulla funzione, sul ruolo, racchiusi in questa dimensione pienissima dell’esistenza umana.

Liberiamoci dalle definizioni

Le definizioni che, come pedagogiste e come madri, abbiamo visto susseguirsi negli anni sono tante: mamme tigri, riccio, chioccia, elicottero, spazzaneve… tutte create per descrivere e definire i diversi modelli genitoriali e trovare la formula più adatta, più fortunata, in cui ogni mamma potesse ritrovarsi o da cui, al contrario, potesse prendere le distanze.

Ma, a nostro avviso, la definizione più bella e onesta, soprattutto perché non giudicante e capace di dare un’immagine da prendere come modello, resta quella di Donald Winnicott:

La madre sufficientemente buona.

Ossia una madre lontana dalla perfezione, anzi, che non aspira alla perfezione, una mamma sana, presente emotivamente per il suo bambino, una persona spontanea, autentica e vera, che sa dare il giusto spazio al suo istinto naturale.

Prendiamoci il tempo per riscoprire il nostro istinto materno

Una bellissima e semplice definizione per un ruolo complesso, che dà tanta fiducia e restituisce competenze a noi madri. Perché anche l’istinto, il nostro istinto materno, è fondamentale! E invece, in una società culturale, fortemente strutturata, spesso, si fa piccolo, relegato in un angolo quasi dimenticato.

A noi mamme si chiede di essere performanti, di stimolare settimana dopo settimana i nostri bambini con attività adeguate e precise per potenziarne l’intelligenza, al massimo. Si chiede di essere da subito capaci, sorridenti, in forma, attive, propositive, organizzate e molto altro ancora. Si chiede di non perdere tempo prezioso.

E invece c’è un tempo per tutto! C’è un tempo “da perdere”. Il primo è quello scandito dal neonato, dai suoi ritmi, un tempo nuovo, per certi versi molto lento e per altri continuo e senza interruzioni. Un tempo, che ogni mamma si dovrebbe concedere, perché è proprio lì che può trovare l’opportunità di conoscere giorno dopo giorno il proprio figlio, è lì che può scoprire quell’istinto materno che c’è, che si annida tenace dentro di lei e si esprime nell’atto più semplice e potente al mondo: esserci per il proprio bambino e fare in modo che lui lo senta con sicurezza. Sì, perché proprio questo esserci per il proprio bambino è l’elemento fondamentale di cui non possiamo fare a meno e da cui parte la costruzione di una relazione unica e irripetibile.

Diamo voce al groviglio di emozioni che ci avvolge

Ma il tempo dell’istinto non è breve e non è facile: amare, prendersi cura, riconoscere la totale e totalizzante dipendenza del nostro cucciolo da noi è questione delicata e complessa e necessita di una laboriosa attività di districamento del groviglio di emozioni che alberga dentro noi mamme, soprattutto alla nascita del piccolo.

Non dobbiamo aver paura di dar voce al nostro sentire, anche quando non ci sembra “bello come dovrebbe”. Non è di certo facile, ma in questo possono esserci – devono esserci – di grande aiuto le persone che ci sono accanto, offrendoci un ascolto autentico, non giudicante, che non deve portare per forza a consigli non richiesti e al racconto di esperienze personali “risolutive”, un ascolto che ci permetta di dire ad alta voce ciò che sentiamo e trovare così, dentro di noi, gli strumenti efficaci per poter accettare ciò che siamo e ciò che facciamo, il nostro essere madre, in quanto frutto del nostro esserci, in quel momento, per il nostro bambino.

Il nostro sguardo come uno specchio

festa della mamma

Anche perché noi mamme, nel nostro esserci, adempiamo un compito implicito e costante: facciamo da specchio. Che lo vogliamo o no, quel piccolo tra le nostre braccia inizia a conoscere il mondo attraverso i nostri occhi, le nostre espressioni ed emozioni, si sintonizza sul nostro stato emotivo, sente la nostra gioia, la nostra malinconia o tristezza, e conferisce senso a ciò che accade in base alle nostre reazioni: per lui una cosa non è in sé bella o brutta, ma lo diventa in base al modo in cui noi la viviamo e gliela presentiamo.

Quel piccolo che accogliamo vede se stesso attraverso il nostro sguardo, uno sguardo che gli fornisce la prima immagine di sé. E questa sì che è una grandissima responsabilità, perché da quello sguardo passa il suo essere amato e accettato per ciò che è, da quello sguardo sente il piacere che abbiamo nello stare con lui, nell’accudirlo, nel coccolarlo, nel guardarlo semplicemente, da quello sguardo sente il confine del suo corpo attraverso le nostre braccia e inizia a percepire di avere un inizio e una fine, da quello sguardo è contenuto quando si perde e si disgrega.

Conteniamo, per far espandere

“Contenere.” Scomodiamo ancora Donald Winnicott, che ha introdotto il termine holding per descrivere una competenza materna primaria: la capacità di fungere da contenitore per le angosce del bambino, angosce che non possiamo sempre comprendere e che non sono da evitare, ma da accogliere e mitigare, perché parte funzionale del processo di crescita.

La capacità di contenere è una competenza della “madre sufficientemente buona”, che sa quando essere accanto al suo bambino, dandogli rassicurazione, consolazione, o semplicemente presenza, e quando invece stargli vicino senza intervenire, un passo indietro, perché in quel momento non ha bisogno della sua presenza attiva e partecipante.

Offrire questo “contenitore relazionale” al nostro bambino significa dargli la possibilità di vivere appieno la sua naturale onnipotenza infantile, di sentire che sta creando il mondo facendo apparire ciò di cui ha bisogno, perché la sua mamma appare quando ha bisogno di lei, che sia nutrimento fisico o emotivo.

Portiamoli dalle braccia… al mondo

Sperimentare la sua onnipotenza, un concetto che in un mondo adultocentrico può indurci a pensare a qualcosa di negativo, da smorzare il prima possibile, e che invece è esperienza essenziale per la crescita del nostro piccolo e può trovare espressione in un ambiente fisico ed emotivo che la consenta.

All’inizio, per il nostro bambino, noi rappresentiamo il mondo intero, poi, un poco alla volta, cominciamo a presentargli quello che c’è fuori e, piano piano, allarghiamo il pezzo di mondo a sua disposizione: dalle braccia – tutto il mondo di cui ha bisogno all’inizio – al resto, con gradualità.

Accogliamo la vita per poi lasciarla libera

È un’ardua prova per ciascuna di noi accogliere con pienezza questa vita che siamo noi e allo stesso tempo che è altro da noi e poi, gradualmente, lasciare andare quella stessa vita insegnandole a camminare da sola per il mondo, a diventare sempre più autonoma.

Ma fare un passo indietro e lasciare che il nostro bambino sia ogni giorno più autonomo, perché sicuro e capace di trattenere dentro di sé l’immagine rassicurante che gli offriamo è un dono grandissimo che possiamo fargli. Per riuscirci dobbiamo imparare a destreggiarci tra presenza e autonomia, sostegno e incoraggiamento, perché i nostri piccoli siano capaci ogni giorno di fare più cose da soli, certi che noi siamo lì a rispondere “eccomi!” quando loro ci cercano. Per riuscirci – soprattutto – è necessario che non abbiamo fretta, che ci concediamo il tempo di “perdere tempo”, per guadagnare sicurezza come mamme proprio mentre i nostri bambini guadagnano la loro sicurezza come figli.

Buona Festa della mamma a tutte noi!