Dall’Amica geniale ai laboratori teatrali per i bambini

Ieri su Rai Uno è andato in onda il primo episodio della serie tratta da L’Amica geniale di Elena Ferrante, per la regia di Saverio Costanzo. Così milioni di persone in tutto il mondo hanno potuto ammirare il talento della mia “amica geniale”!

Annarita Vitolo, si chiama così la mia amica (eh sì, avete capito bene: ne sono molto orgogliosa!), ci ha mostrato la sua Immacolata Greco, madre di una delle due protagoniste, Lenuccia. E ancora, anche per me che l’ho già vista molte volte in scena, non sono mancate le sorprese e le emozioni.

Così, con le immagini del primo episodio ancora nella mente, voglio condividere con voi una delle nostre chiacchierate. Proprio una in particolare intendo, avvenuta qualche mese fa, in cui, prendendo spunto da questa esperienza che l’ha portata anche alla Mostra del cinema di Venezia (e qui stendo un red carpet sulla commozione che provo), abbiamo parlato di relazione tra madre e figlia, di bambini ed emozioni, di teatro per i ragazzi.

Se vi conosco un po’, penso proprio che interesserà anche a voi!

Madre e figlia tra istinto ed emozioni

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Foto di scena dal sito HBO, My brilliant friend, Lenuccia e Lila.

Francesca Anna (io la chiamo così!) tra pochi mesi potrò vederti trasformata in Immacolata Greco, una mamma dura e provata dalla miseria, a tratti crudele nei confronti di una figlia a disagio con la sua stessa eccezionalità. Cosa hai provato a indossare i panni di una donna tanto distante da te, che vive in una realtà come quella descritta dalla Ferrante nella sua Amica geniale, in cui i bambini contano pochissimo?

Annarita Non è stato facile Fre (lei mi chiama così!), è stata una bella prova, per la quale ho potuto attingere molto a un personaggio vicino a Immacolata che io avevo già interpretato, la janara del Baciamano. Ovvio che lì era un’altra storia, di vessazioni anche molto violente, in cui la maternità era vissuta come un peso. Però c’è una parte della janara, quella più istintiva e animalesca, che secondo me è anche di Immacolata: entrambe sono state trascinate dalla vita, appartengono cioè a una categoria di personaggi fatti di istinto quasi animalesco, che non hanno psicologia, nel senso che non si possono permettere una consapevolezza in merito a ciò che sono e vivono, semplicemente sono in quella condizione e vanno avanti.  Vivono vite che passano, non sedimentano, trascorrono.

Francesca Intendi dire che trascorrono senza che chi le vive abbia la possibilità di attuare uno sviluppo personale?

Annarita Esattamente. Però è una donna molto intelligente. Non a caso Elena Ferrante le dà un ruolo così importante. Non a caso Lenuccia sarà così segnata dal rapporto con la madre. In effetti, è vero, se si resta in superficie sembra che Immacolata abbia degli atteggiamenti “crudeli” nei confronti della figlia, e che Lenuccia odi sua madre. Ma scendendo più a fondo nel loro rapporto, si comprende subito che non racconta soltanto questo.

Il senso che ho voluto dare al mio personaggio è quello di una donna che, pur in assenza di una sua psicologia, sente che la figlia ha un potenziale e che, probabilmente, la vita potrebbe deluderla, come ha deluso lei. Credo quindi che alla base della crudeltà di Immacolata nei confronti di Lenuccia ci sia senz’altro l’invidia come donna, allo stesso tempo, però, questa invidia non le impedisce di sostenere la figlia quando ce n’è bisogno. Lo fa a modo suo, ma lo fa.

Francesca Ora che lo dici anche tu, realizzo meglio perché mi aveva tanto colpito, leggendo il romanzo, il momento in cui Lenuccia viene rimandata al primo anno della scuola media, un momento di grande sconforto in cui l’unica persona che la spinge in qualche modo a non rinunciare, a fare ricorso alle sue capacità personali per studiare anche da sola, è proprio Immacolata.

Annarita Quello è stato per me un momento di grande e sincera commozione, e quella stessa emozione l’ho letta negli occhi di Margherita Mazzucco che interpreta Lenuccia adolescente:  sono molto pochi i momenti in cui madre e figlia riescono a essere in empatia, perché “empatia” è già una parola troppo grossa per questo rapporto. Probabilmente, anche per questo interpretarli è stata una esperienza molto forte per entrambe.

E la stessa cosa è successa con Elisa Del Genio, Lenuccia da piccola, con la quale si sono rivelati  particolarmente coinvolgenti e duri sul piano emotivo i momenti in cui abbiamo dovuto girare le scene di violenza, perché anche se, mentre lo fai, sai che si tratta di finzione, resta molto difficile vedere una bambina che scappa, si protegge, si spaventa… perché quelle emozioni, in qualche modo, le vivi comunque.

Francesca Per un bambino di nove, dieci anni, l’immedesimazione in delle emozioni tanto forti, come la paura verso un genitore che lo minaccia fisicamente deve essere una esperienza molto intensa.

Annarita E anche tanto lontana dalla sua realtà! Come è proprio nel caso di Elisa, che viene da una famiglia molto unita, con genitori presenti e attenti. Non dico niente di nuovo se affermo che la famiglia è tutto: una zavorra o ali.

Francesca Ma, secondo te, Immacolata per Lenuccia quale delle due cose è stata: una zavorra o delle ali?

Annarita Di sicuro, per Lenuccia, non solo Immacolata, ma tutta la sua famiglia, il contesto sociale in cui vive, hanno rappresentato una zavorra, della quale lei riesce solo parzialmente a liberarsi. Nonostante questo, in tutta la storia dell’Amica geniale, se c’è una persona che, oltre Lila, colpisce Lenuccia, ha un ascendente su di lei, è proprio Immacolata, che la meraviglia sempre, in positivo e in negativo, che riesce a farla sentire uno zero, così come a spronarla o ad aiutarla quando ne ha bisogno. I sentimenti tra loro due sono certamente contrastanti, ma ci sono e hanno un ruolo determinante, fino a raggiungere il culmine nel momento della morte di Immacolata, quando la donna svela alla figlia che lei è stata la più amata.

Bambini ed emozioni, una storia di purezza

Il fiore che ti mando l'ho baciato
Annarita Vitolo in Il fiore che ti mando l’ho baciato, per la regia di Antonio Grimaldi.

Francesca E visto che parliamo di bambini… so che Elena Ferrante ha messo una condizione specifica alla scelta dei protagonisti: a interpretare i ruoli dei bambini dovevano esserci attori non professionisti. Per i suoi personaggi voleva le emozioni dei bambini e non le emozioni dei bambini raccontate dai grandi. Sei d’accordo con questa scelta?

Annarita Totalmente. Sul set dell’Amica geniale, i bambini, il loro benessere, il contributo emozionale che potevano dare sono stati il leitmotiv del regista, Saverio Costanzo, che ha chiesto a noi attori “senior” una grande attenzione ai bambini. Una attenzione che lui stesso ha avuto, prima di ogni altro, intesa però non solo nel senso di “cura”, ma anche di “ascolto” attento e attivo degli elementi di novità di cui i bambini sono testimoni e portatori. E questo, per me, è stato meraviglioso, non nuovo – perché ho avuto molte occasioni di lavorare con i più giovani e so quello che possono darti –, seppure lo stupore sia stato all’ordine del giorno.

Francesca Mi hai fatto venire in mente una frase di Donald Winnicot: “I bambini hanno più da dare che da ricevere”. Io la condivido pienamente. Da quando sono diventata mamma e ho riscoperto l’infanzia mi sono resa conto che il mondo dei bambini è molto diverso dal nostro, è un modo di pensare originale, ed è per questo che mi ha tanto colpito questa specifica richiesta di Elena Ferrante, cioè di lasciarli liberi di esprimere le loro emozioni.

Annarita Sì, perché non ci sono interferenze, sovrastrutture nelle loro emozioni, sono emozioni pure, non condizionate da preconcetti, pregiudizi. I bambini sono più liberi. Di certo, lavorare con loro è difficile, perché ti richiede una maggiore energia, soprattutto in relazione alla concentrazione che è sicuramente diversa da quella di un adulto. Ed è stato faticoso, non tanto per noi attori, ma piuttosto per il regista, i costumisti, i truccatori, che hanno davvero dovuto lavorare tanto. Però, i bambini sanno anche ricompensare a piene mani per questa fatica e la loro ricompensa sta nella purezza, nella spontaneità, nell’originalità del gesto.

Francesca Quindi, secondo te i bambini sono usciti da questa esperienza con una sensazione positiva.

Annarita I bambini piangevano quando hanno finito. Ed era un pianto di malinconia dovuto alla fine di una esperienza intensa che li ha resi felici, che li ha fatti vivere in una situazione diversa, che li ha anche tanto stancati, ma ha dato loro la possibilità di fare un viaggio in un mondo bellissimo e affascinante, nel quale hanno potuto confrontarsi con delle professionalità poco conosciute e insolite. Sono stati così i primi imitatori di sarti, costumisti, macchinisti, ciakkisti. Hanno imparato tanto e hanno trovato anche – questo ci tengo a dirlo – un cast tecnico di alto livello professionale e umano. Sono stati proprio bene, molto coccolati.  

Conoscere le emozioni: le potenzialità del teatro per i bambini

Parenti serpenti
Annarita Vitolo in Parenti serpenti, con Lello Arena per la regia di Luciano Melchionna.

Francesca Mi sembra proprio che il set dell’Amica geniale sia stato una opportunità di crescita personale significativa, in cui hai stabilito dei legami intensi con questi giovani che hanno lavorato con te. Eppure tu non sei nuova a questo tipo di legami: da anni lavori con i bambini e i ragazzi delle scuole elementari e medie del salernitano, per i quali conduci i laboratori teatrali di cui io e te abbiamo tante volte parlato. Vuoi raccontare questa esperienza anche al pubblico di Occhicielo?

Annarita Effettivamente, sono tanti anni che mi occupo di laboratori teatrali per bambini e ragazzi. Una esperienza lunga che è anche cambiata nel corso del tempo. Anzi, forse è più corretto dire che a cambiare è stato proprio il mio pensiero. E, in particolare, rispetto all’ascolto, degli altri, in primis dei bambini, ma anche di me stessa.

Quando ho iniziato, con Gaetano Stella, ero molto giovane. È a lui e alla sua compagnia che devo il mio passaggio al professionismo, sia come attrice sia come esperta di recitazione nei laboratori teatrali. Il mio era un lavoro su commissione, di solito, tutto il laboratorio era strutturato intorno alla realizzazione di uno spettacolo finale. All’inizio quindi non ero coinvolta nella definizione del progetto, ero più che altro una esecutrice di un lavoro pensato da quello che io reputo uno dei miei maestri.

I primi laboratori quindi sono stati momenti in cui io, nonostante riuscissi comunque ad avere un buon rapporto con i bambini, mi accorgevo di preoccuparmi di più di eseguire correttamente il compito che non di quello che potevo offrire realmente ai ragazzi, e come competenze teatrali e come esperienza formativa. Poi, la mia crescita personale, altri incontri, spettacoli con uno specifico tipo di indagine, che avevo cominciato a fare rispetto al mio essere attrice e al genere di teatro che sentivo più vicino a me, hanno portato, anche nella mia vita, a quello che sempre accade quando più cose si intrecciano così profondamente, hanno cioè formato un cerchio che mi ha fatto aprire gli “occhi al cielo” – per restare in tema del tuo blog – in maniera nuova. In questo senso, il mio Occhicielo è stato il teatro performativo, un tipo di teatro che, secondo me, è il più vicino ai bambini.

Francesca A questo punto, però, devi spiegarci cosa è il teatro performativo!

Annarita  Per spiegarmi ricorro a un esempio. Immaginiamo di dover organizzare un laboratorio teatrale che porti a uno spettacolo finale. L’impostazione che potremmo chiamare “classica” è quella di scegliere un copione, far fare ai bambini delle attività finalizzate ad acquisire delle competenze attoriali – per esempio la presenza del corpo in scena, l’uso della voce, l’imitazione – e poi preparare lo spettacolo finale partendo principalmente dal testo, per mettere in pratica le competenze acquisite.

Il teatro performativo invece, pur scegliendo comunque un argomento, lo sviluppa  partendo dalla persona e, nel caso dei laboratori con i più piccoli, dal bambino, da ciascun bambino. Si tratta di un modo diverso di concepire l’esperienza teatrale e interpretativa, che io ho sperimentato su di me e che mi ha portata a fare un cambio innanzitutto come attrice. Nel teatro performativo, non si recita, non si imita nessuno, non si pretende per forza qualcosa, invece si sviluppa e si cerca di tirar fuori quello che già appartiene alla persona. Nel teatro performativo, si è se stessi.

Il teatro performativo per sperimentare esperienze della vita

Francesca Stai dicendo che, in questo tipo di teatro, anche quando interpreti un ruolo, lo fai portandoci dentro i tuoi sentimenti, le tue emozioni e il tuo modo di essere?

Annarita Sto dicendo proprio questo! Tu sai della mia collaborazione con Antonio Grimaldi, un regista che cura questo tipo di teatro, con il quale condivido una delle esperienze che più mi ha dato in tutti questi anni, e cioè quella con i ragazzi della scuola media di Praiano.

E quando uso la parola “cura”, intendo non solo quella che Antonio riserva al teatro, ma proprio all’esperienza umana che questo specifico tipo di teatro porta con sé, perché tutti noi che prendiamo parte a questi laboratori ci passiamo delle emozioni, cioè costruiamo lo spettacolo finale, basandoci sì su un’idea che ne costituisce una linea guida, ma dandogli forma piano piano, proprio grazie a quello che sono i ragazzi, senza personaggi prestabiliti e lasciando che tutto sia in evoluzione, sempre.

Francesca Cioè, è come se la stessa idea, realizzata con altri ragazzi potesse portare a un risultato completamente diverso?

Annarita Proprio così! Il teatro tutto è così: una esperienza diversa ogni volta. Ma, rispetto a quello che tu mi chiedi sul teatro come strumento per indagare la sfera emotiva, io credo che il teatro performativo sia quello che può stimolare di più a vivere meglio le proprie emozioni, a saperle fare uscire, a non aver vergogna nel provarle, a condividerle, a non sentirsi inadeguato.

Nella mia esperienza, il teatro performativo è quello che riesce ad attecchire più facilmente nei ragazzi e nei bambini e permette loro di sperimentare delle esperienze importanti che non appartengono solo al teatro, ma alla vita. Mi viene in mente l’atto del guardarsi negli occhi, quanto è difficile nella vita reale, anche per noi adulti! Nel teatro performativo, i ragazzi hanno l’opportunità di sperimentare cosa significa guardare, attraverso gli occhi, nelle emozioni di un altro e contemporaneamente comunicargli le proprie. Nella realtà accade raramente, nel teatro performativo è una esperienza comune: io riesco a sostenere il tuo sguardo e a provare le tue emozioni mentre si fondono con le mie.

Francesca Del resto, il non guardare negli occhi è proprio una forma di difesa. Quando tu ti vuoi difendere da qualcosa o qualcuno, la prima cosa che fai è distogliere lo sguardo.

Annarita E questo è solo uno dei tanti tabù che abbiamo rispetto all’interazione tra corpi, forti, e difficili da superare. I bambini di certo ne hanno un po’ meno, ma già gli adolescenti li manifestano in modo più marcato. Ecco allora che, quando ti trovi davanti questi giovani che fanno teatro, che hanno veramente voglia di lasciarsi andare, di lavorare in gruppo, di imparare a rispettare l’altro, anche nel corpo, quando vedi un gruppo in cui tutte queste restrizioni fisiche che ci imponiamo cominciano a essere superate, e non tra adulto e ragazzo, ma tra ragazzi, allora ti rendi conto della potenza dell’esperienza teatrale.

Il fatto è… che il teatro ti consente la libertà, anche attraverso il corpo. E in questo passaggio nella fisicità, la potenzialità del teatro performativo è grande, perché può aiutare, attraverso il corpo, a raccontare quello che la parola ha più paura di raccontare.  Una possibilità che, soprattutto per quei bambini con difficoltà nel linguaggio – ce ne sono tanti che non parlano bene, non scandiscono le parole, non concludono le frasi – si trasforma in una grossa opportunità, perché attraverso il lavoro sul corpo loro guadagnano terreno anche nell’espressione verbale.

Emozioni e sensazioni e linguaggio: la stretta connessione tra mente, corpo e ambiente

Francesca Della centralità del corpo nell’esperienza emotiva, anche rispetto al linguaggio con cui la esprimiamo, sono profondamente convinta, al punto da farne il nucleo di uno dei miei libri. Quando ho scritto A volte mi sento… inondare di emozioni, ho usato il verbo “sentire” nel suo doppio significato di sentire con il corpo e con la mente. Sentire cioè l’emozione e contemporaneamente sentire la sensazione che quella emozione suscita. Perché questi due elementi sono fortemente correlati.

E invece la difficoltà di molti di noi – che cominciamo a maturare già da bambini – è proprio associare le parole a quello che proviamo con la mente e con il corpo, perché questa relazione strettissima tra corpo e mente e linguaggio, molto spesso, si perde.

Recuperarla non significa certo cominciare a esprimere le nostre emozioni e le reazioni che vi si associano senza tenere conto degli altri e dei contesti, ma piuttosto acquisire consapevolezza del momento in cui insorgono in noi e del fatto che possiamo gestirle senza reprimerle o ignorarle. Per un bambino, una tale consapevolezza può fare una grande differenza!

Annarita In questo il teatro performativo è potente, perché ti mette in connessione con te stesso, con gli altri, con uno spazio. Perché ti rende consapevole anche rispetto ai corpi degli altri. Partire dal corpo, dal tuo baricentro emozionale, ti mette in comunicazione con la mente e con il mondo che ti circonda, con il contesto sociale in cui vivi.

E proprio pensando a questa interazione tra l’io e il mondo allora, vorrei leggerti una frase di Leo de Bernadinis, un regista e drammaturgo che ha sempre lavorato nel filone del teatro di ricerca, e che attraversava molto le frontiere tra “il me e il te” in teatro.

Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale. Ed il teatro è una grande forza civile. Il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, la paura del diverso, la paura dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte.

Il teatro ti rende attento all’intorno e mobile rispetto a te stesso. E poi ti rende ispirato, perché l’altro è sempre una fonte di ispirazione.

Francesca Grazie Anna! Ti rivediamo presto sulla Rai, nell’Amica geniale di Saverio Costanzo, per continuare a emozionarci con le tue emozioni.