L’ipotesi di Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) sottoscritta il 9 febbraio vede applicata per la prima volta nella scuola la nuova struttura della contrattazione dei comparti del pubblico impiego, ridotti a quattro (da otto che erano) in applicazione dell’art. 40 del D.Lgs. n. 165/2001, il cui c. 2 recita:
Tramite appositi accordi tra l’ARAN e le Confederazioni rappresentative, secondo le procedure di cui agli articoli 41, comma 5, e 47, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, sono definiti fino a un massimo di quattro comparti di contrattazione collettiva nazionale,cui corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza.
Gli “appositi accordi” furono raggiunti a seguito della sottoscrizione, in data 13 luglio 2016, del Contratto collettivo nazionale quadro (CCNQ) per la definizione dei comparti e delle aree di contrattazione collettiva nazionale:
- l’art. 2 individua i quattro comparti del pubblico impiego (Funzioni centrali, Funzioni locali, Istruzione e ricerca, Sanità);
- l’art. 5 definisce i cinque settori del personale non dirigente inquadrato nel comparto di contrattazione collettiva dell’Istruzione e della ricerca:
I – Scuole statali
II – Accademie, Istituti superiori per le industrie artistiche, Conservatori di musica e Istituti musicali pareggiati;
III – Università, Istituzioni Universitarie e le Aziende ospedaliero-universitarie di cui alla lett. a) dell’art. 2 del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517;
IV – CNR e tutte le istituzioni della Ricerca;
V – Agenzia spaziale italiana.
Gli argomenti dell'articolo
La struttura del CCNL Istruzione e ricerca del 9 febbraio
Per questa ragione il CCNL si presenta con un ponderoso apparato di 176 pagine con 105 articoli, con l’appendice delle Tabelle che riportano gli incrementi retributivi su base mensile (serie A) e su base annua (serie B) nonché con sei Dichiarazioni congiunte.
Il Contratto si articola in una Parte comune (artt. 1-21) seguita dalle varie Sezioni:
- Scuola (artt. 22-40);
- Università e aziende ospedaliero-universitarie (artt. 41-65);
- Istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione (artt. 66-94);
- AFAM (artt. 95-105).
Alla scuola interessano solo le prime due parti, quella comune e quella di Sezione.
Si faccia attenzione però che il nuovo Contratto si limita a regolamentare solo alcuni aspetti della materia lavorativa, quelli che erano di interesse delle Parti.
Per tutta una serie di temi (ferie, congedi, formazione, tutela della salute e della sicurezza, specifici istituti del personale docente e non docente ecc.) si opera il rinvio al precedente CCNL del 2007 (art. 1, c. 10: “Per quanto non espressamente previsto dal presente CCNL, continuano a trovare applicazione le disposizioni contrattuali dei CCNL dei precedenti comparti (…)“.
Una scelta sicuramente infelice, che trova le sue motivazioni nella fretta con cui si è voluto chiudere il Contratto alla vigilia delle elezioni ma che procurerà sicuramente inconvenienti e incertezze a chi il Contratto lo dovrà applicare.
Gli incrementi retributivi
La mission di questo contratto era duplice: migliorare il trattamento economico sulla base delle disponibilità reperite dal Governo e adeguare la parte normativa alle innovazioni contenute nella legge n. 107/2015 nonché nel D.Lgs. n. 75/2017 per quanto riguarda la materia disciplinare.
Il primo obiettivo è stato raggiunto: molto o poco che sia, sembra essere ciò che realisticamente poteva essere ottenuto in queste condizioni di finanza pubblica.
Sul secondo aspetto, la valutazione è molto più complessa, e cercheremo di darne ragione qui di seguito. Per i sindacati l’impegno è stato nella direzione di bloccare il più possibile gli istituti di “riforma” della 107 e ci sono riusciti, grazie soprattutto alla “collaborazione” del ministero che ha svolto un ruolo assai poco coerente con la funzione di Governo.
Alla fine, l’ipotesi di contratto è stata sottoscritta solo da CGIL, CISL e UIL, con una percentuale di rappresentatività complessivamente pari al 66,02%[1].
La Gilda non ha firmato “perché le risorse economiche stanziate dal Governo non consentono di colmare la forbice stipendiale tra il personale della scuola e quello degli altri comparti del pubblico impiego“.
Per lo Snals “i miglioramenti retributivi sono, in concreto, irrisori mentre davvero problematica risulta il testo nella parte normativa“.
La rivincita del contratto sulla legge
L’interesse a chiudere il Contratto prima delle elezioni politiche non ha condizionato solo i tempi ma, più ancora, ha fatto prevalere scelte di ribasso a fronte di istanze di rilancio della scuola in termini di differenziazione delle carriere degli insegnanti, della valorizzazione del merito, della formazione del personale, di riconoscimento del merito.
Ha vinto il sindacalismo del passato, quello dell’egualitarismo senza principi, del garantismo dei garantiti, della moltiplicazione dei congedi, della elusione dei diritti dei bambini e dei giovani che (come si sa) non hanno sindacati, della miopia di chi tutela i detentori della forza contrattuale perdendo di vista la funzione di servizio delle famiglie propria del sistema di istruzione ed educazione.
In altre parole, questo contratto sancisce la voglia di rivincita di un sindacato che era stato messo alla corde negli ultimi anni sia dalla perdita di credibilità presso la propria base (e nell’opinione pubblica) sia dai “paletti” che avevano riportato la funzione sindacale al suo ruolo di contrattare “il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali” (art. 40, c. 1, D.Lgs. n. 165/2001), riaffermando nel contempo il fondamentale principio della supremazia della legge sul contratto, da cui discende il criterio dell’inderogabilità delle norme votate dal Parlamento.
In effetti, la legge, per sua natura, è finalizzata alla tutela dell’interesse collettivo mentre il contratto (lo dice il codice civile) è l’accordo fra due o più parti per regolare interessi particolari.
Questi “paletti” trovano ragione nell’art. 97 della Costituzione, il cui comma 1 prescrive che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge”, e hanno ritrovato vigore grazie ai richiami contenuti, ad esempio:
- nel D.Lgs. n. 150/2009 là ove è espressamente previsto che le disposizioni del Titolo III “Merito e premi” “hanno carattere imperativo, non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva”;
- nella stessa legge n. 107/2015, il cui comma 196 afferma che: “Sono inefficaci le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge”.
Si era, da allora, ritenuta chiusa la strada della “disapplicazione” della legge tramite le c.d. “sequenze contrattuali”[2]. Ma una straordinaria congiuntura si è verificata a partire dal dicembre 2016, quando al MIUR è stata insediata Valeria Fedeli, per 33 anni dirigente sindacale della CGIL.
È davvero singolare che la legge n. 107/2015, varata in questa legislatura e presentata come uno dei maggiori contributi alla ripartenza del “Sistema Paese” in quanto “Riforma del sistema nazionale di istruzione“, dalla stessa maggioranza di Governo venga ora smantellata a più riprese. L’ARAN è stata più volte autorizzata a sottoscrivere accordi “in deroga”, che di fatto vanificano alcuni fra gli strumenti individuati dalla legge, con l’unica motivazione che essi sono invisi alle organizzazioni sindacali.
La legge “scardinata”[3] dal contratto
Riportiamo alcuni passaggi della legge n. 107/2015 “derogati” dai contratti.
- In materia di mobilità la legge n. 107 (c. 108) prevede l’obbligo di permanenza triennale per i docenti assunti a partire dall’a.s. 2015/16: con il CCNI del 4 aprile 2017 sono stati ripristinati i trasferimenti in deroga al vincolo triennale.
- La legge n. 107 (art. 1, c. 127) assegna al comitato per la valutazione il compito di individuare i criteri sulla base dei quali il dirigente scolastico assegna annualmente il “bonus” ai docenti meritevoli: con l’ipotesi di CCNL del 9 febbraio passa alla contrattazione la determinazione dei “criteri generali per la determinazione dei compensi finalizzati alla valorizzazione del personale, ivi compresi quelli riconosciuti al personale docente ai sensi dell’art. 1, comma 127, della legge n. 107/2015“.
- Ancora, la stessa legge n. 107 (art. 1, c. 126) stanzia 200 milioni annui di euro, a decorrere dall’anno 2016, per finanziare un apposito fondo per la valorizzazione del merito. Con l’ipotesi di CCNL del 9 febbraio, questo fondo viene fatto confluire nel “Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa” (art. 39-bis), oggetto della contrattazione d’istituto ai sensi dell’art. 22.
- Non solo: lo stesso fondo di 200 milioni istituito dalla legge è ridotto, nel CCNL, a 120 milioni nel 2018 e a 100 milioni nel 2019 per finanziare gli aumenti in busta paga di tutti i docenti (art. 39-bis, c. 3).
La deriva “legiferante” di questo CCNL si produce in una ulteriore trovata, che tocca questa volta la composizione dei consigli di classe, organi collegiali la cui composizione è tassativamente ordinata dalla legge (art. 5 del T.U.). Nel corso della elaborazione del PEI per gli alunni con disabilità certificata, il consiglio di classe si allarga, prevedendo
“la partecipazione dei genitori o dei soggetti che ne esercitano la responsabilità,delle figure professionali specifiche interne ed esterne all’istituzione scolastica che interagiscono con la classe e con la bambina o il bambino, l’alunna o l’alunno, la studentessa o lo studente con disabilità nonché con il supporto dell’unità di valutazione multidisciplinare” (D. Lgs. n. 66/2017, art. 7, c. 2).
Potremmo ritenere che tra le “figure professionali specifiche interne all’istituzione scolastica” la legge si riferisca (ad esempio) al docente con funzione strumentale per l’inclusione, al docente referente di commissione, al docente collaboratore del dirigente in materia di disabilità, al preposto in materia di sicurezza e barriere architettoniche nel caso di handicap fisici, e così via.
Invece, l’art. 40 del nuovo CCNL afferma che il “personale ATA“ partecipa all’elaborazione del PEI in forza della norma appena citata.
Il riferimento non può essere che ai collaboratori scolastici, gli unici ai quali il Profilo professionale assegni dei compiti in materia. In effetti, il CCNL 2007, Tabella A, Area A, dispone: “Presta ausilio materiale agli alunni portatori di handicap nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche, all’interno e nell’uscita da esse, nonché nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale anche con riferimento alle attività previste dall’art. 47″.
Tuttavia, che da una prestazione di “ausilio materiale” si possa inferire al collaboratore scolastico una specifica professionalità in tema di disabilità pare fuori di senno. Anche perché lo stesso Profilo professionale delinea una figura con mansioni solo esecutive e priva di ogni specializzazione professionale: “Esegue, nell’ambito di specifiche istruzioni e con responsabilità connessa alla corretta esecuzione del proprio lavoro, attività caratterizzata da procedure ben definite che richiedono preparazione non specialistica“.
Il “Confronto“
L’ipotesi di CCNL si è prodotta in creatività anche nel campo delle relazioni sindacali.
Esse sono di due tipi: l’informazione e la contrattazione, escludendo da quest’ultima “le materie attinenti all’organizzazione degli uffici” (D.Lgs. 165/2001, art. 5 e 40).
L’art. 6 dell’ipotesi di CCNL ha introdotto una terza modalità, quella del “Confronto”.
In sostanza, nelle materie interdette alla contrattazione perché riservate alla PA, il sindacato ha ottenuto di poter “instaurare un dialogo approfondito (…) al fine di consentire ai soggetti sindacali di esprimere valutazioni esaustive e di partecipare costruttivamente alla definizione delle misure che l’amministrazione intende adottare“.
“Confronto” e “dialogo” sono categorie delle relazioni umane e, in quanto tali, vanno il più possibile incentivate. Che diventino un obbligo di CCNL lascia decisamente perplessi, anche perché il fine dichiarato è quello di aggirare la legge là dove non si è riusciti di “derogarla”.
Disciplina docenti
Il Titolo III del CCNL è dedicato alla “Responsabilità disciplinare” (artt. 10-17).
Le norme sono riferite esclusivamente al personale non docente, in forza della lex specialis che il T.U. riserva agli insegnanti.
La trattativa si è arenata sull’applicazione del potere disciplinare dei dirigenti scolastici, ai quali la legge riserva il potere di infliggere sanzioni disciplinari non previste negli altri comparti della pubblica amministrazione, i cui dirigenti si limitano al rimprovero verbale demandando ogni altro procedimento disciplinare all’Ufficio appositamente istituito dalla propria amministrazione.
La questione è annosa, risalendo al D.Lgs. n. 150/2009, la cui normativa è stata però confermata dal recente D.Lgs. n. 75/2917, art. 13 (c.d. riforma Madia)
È un bene che la definizione nel CCNL delle parti della materia disciplinare riservate alla contrattazione avvenga in una successiva sessione, che deve concludersi entro luglio 2018 (art. 29, c. 1): riapre la speranza di soluzioni coerenti con la legge.
La Comunità educante: un’altra forzatura
L’art. 24 del CCNL istituisce la “Comunità educante” e così la definisce:
“1. Ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni (…)“.
Chiarito ancora una volta che la Pubblica Amministrazione è riserva di legge, ci si chiede quale fonte legislativa sia stata posta a fondamento di questa nuova istituzione: a tal proposito, il CCNL rinvia all’art. 3 del T.U., ignorando che tale articolo ha una diversa rubrica, che recita “Comunità scolastica”.
Non vogliamo qui scomodare Giustiniano e il suo aforisma “Sunt nomina consequentia rerum“; vogliamo pure abbandonare ogni pretesa di ragionamento giuridico a fronte di tanta improvvisazione. Ma è evidente a chiunque che “Comunità scolastica e “Comunità educante” non sono la stessa cosa, a partire dal fatto che si riferiscono a contesti culturali e storici profondamente diversi.
La “Comunità scolastica” è una realtà istituzionale, riferita alla partecipazione alla gestione della scuola sulla base dei decreti delegati del 1974. Essi hanno istituito gli organi collegiali con la partecipazione dei genitori, qualificandoli non come collegi chiusi bensì come organismi rappresentativi aperti all’interazione “con la più vasta comunità sociale e civica” (art. 3, T.U.).
La “Comunità educante” si riferisce invece al tessuto delle relazioni educative che i soggetti adulti costruiscono intorno al bambino e al giovane in età di formazione. Essa parte dalla famiglia e da questa si allarga ai contesti formali e informali in cui scorre la vita del minore al di fuori della famiglia e su sua delega: quindi, anche a scuola. Presuppone che vi siano dei valori da proporre e che essi siano rappresentati da educatori che li incarnino anzitutto nella propria vita: tutto questo non necessariamente ha a che fare con un CCNL.
[1] I dati sulla rappresentatività sono desunti dalle Tabelle dell’accertamento pubblicato dall’ARAN per il periodo 2016/18..
[2] Citiamo, come esempio del passato, la vicenda della mancata attuazione della figura del docente tutor, prevista dal D.Lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, in coerenza con l’impostazione della legge di riforma del sistema di educazione ed istruzione (legge n. 53/2003). Eppure, con la firma della “sequenza contrattuale” del 17 luglio 2006, fu autorizzata la “disapplicazione” della figura del docente tutor: esempio di come la contrattazione abbia potuto prevaricare la funzione legislativa.
[3] L’affermazione “Scardinata la legge 107/15” è riportata nel Volantino con cui la CGIL presenta i “successi” ottenuti con la firma del nuovo contratto. nessuno dovrebbe mai farsi vanto di aver “scardinato” una legge: tanto meno nella scuola!