Andar per Fiabe d’autunno con Occhicielo

Quando da Occhicielo mi hanno chiesto di raccontare qualcosa delle Fiabe d’autunno che prendono vita nel bellissimo scenario naturale dell’Orto botanico, non ho avuto esitazioni, ho accettato subito.

Si tratta di una bella iniziativa dell’associazione I teatrini di Napoli, che da molti anni propone, per un pubblico eterogeneo di bambini e genitori, fiabe classiche e testi noti della letteratura per ragazzi, rivisitati e ripensati in funzione di questo suggestivo teatro all’aperto.

La rassegna, tutti i week end fino a domenica 18 novembre, è alla sua 23edizione, un successo duraturo nel tempo e che non invecchia, una bella armonia tra testo narrativo, regia e bravura degli attori. Complice, e inconsapevole coprotagonista, la natura.

“Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”

Fiabe d’autunno

Lo specchio, che è il protagonista di questo primo appuntamento, al quale partecipo anche io, dal titolo Nello specchio di Biancaneve, proprio non sopporta più l’eterno quesito della regina malvagia e vorrebbe tanto cambiare fiaba. Si incammina quindi con fiducia nell’Orto e incontra di volta in volta tanti personaggi e storie, piccoli frammenti di fiabe che fanno parte dell’immaginario collettivo.

Ed è questo cammino, questo percorso, che lo rende consapevole del suo posto, della sua storia, la quale non può essere da nessuna altra parte se non con Biancaneve. Il suo cuore gli dice che deve tornare da lei, in un viaggio di ricerca e poi ritorno in cui gli attori si muovono tra la natura dell’Orto, invitando il pubblico a seguirli alla scoperta delle nuove scene: piccoli quadri che di volta in volta fanno capolino tra gli alberi. L’allestimento è essenziale nella sua realizzazione, semplice ma molto evocativo, quel tanto che permette a tutti di riconoscere i personaggi e sentirsi partecipi del racconto.

Mentre seguo anche io il cammino dello specchio, penso che questo intreccio narrativo è originale e ben scritto. Approfitto allora della presenza della regista di queste Fiabe d’autunno, Giovanna Facciolo, per farle qualche domanda a partire proprio dal testo…

Scrivere le Fiabe d’autunno: parole scelte con cura e dettaglio

Velia Questa riscrittura di Biancaneve mette in scena un testo agile, semplice ma non banale, estremamente fruibile dai piccoli e molto piacevole per gli adulti. Quanto è importante per te la scrittura?

Giovanna La scrittura è per me molto importante. La scelta della tipologia di testo, delle parole e della loro musicalità. Impiego molto tempo a scrivere uno spettacolo anche quando non è un testo completamente mio, ma una rilettura di uno già esistente. Entrare in una fiaba significa, per me, entrare in un territorio di esplorazione, un territorio infantile che mi risuona ancora dentro, che è cioè in risonanza con la mia infanzia o quel che resta della mia infanzia, e con quello che scelgo di condividere con le infanzie di oggi.

Altrettanto tempo mi richiede la scelta delle fiabe, o anche di romanzi per ragazzi come il Mago di Oz, Pinocchio o Peter Pan, che non possono essere definiti fiabe perché sono testi più articolati e complessi nella loro struttura e nella durata delle narrazioni, ma comunque sviluppano il senso del magico rifacendosi alla fiaba, a una sua trasformazione più contemporanea.

Come dici tu stessa, sono testi semplici ma la ricerca della semplicità, il suo raggiungimento, è un lavoro molto complesso e lungo che non toglie nulla all’importanza, alla grandezza delle parole, alla loro capacità di trasmettere emozioni.

Fiabe d’autunno – Biancaneve

In particolare, lo scenario dell’Orto botanico richiede una riduzione dei testi a cinque o sei scene. È necessaria quindi una attenta selezione dei nodi drammaturgici, quei momenti cioè che sono emotivamente e simbolicamente pregnanti, che possano sviluppare un immaginario profondo. Si tratta di un piccolo viaggio attraverso il filo della storia, il quale diventa per me un viaggio iniziatico, poiché alla fine del racconto una piccolissima parte del mio essere è cambiata. È una sensazione che mi piace molto, perché, nonostante io scriva queste storie, le segua tutte, sempre, ogni volta mi sento un po’ cambiata. E penso – spero – che sia così per tutti coloro che vi partecipano.

Credo che il teatro, vissuto in questo modo, nella natura e sviluppato intorno a dei nuclei emotivi e simbolici densi, permette di sperimentare un immaginario trasversale, un territorio di appartenenza comune che mette insieme le infanzie di un tempo – quelle dentro di noi – con le nuove infanzie, per capire che c’è un terreno universale che ci lega attraverso continue trasformazioni.

La scrittura però è anche scrittura scenica, non solo drammaturgica, e anche in questo senso c’è da parte mia un senso un po’ maniacale di cura dell’immagine, che deve apparire al primo sguardo e dare un impatto sensoriale ed emotivo molto forte da subito, prima ancora che la scena si dispieghi. Per questo, quando scrivo un testo, vado in cerca di libri con illustrazioni che mi colpiscano, che mi facciano risuonare dei simboli, degli archetipi, dei misteri, delle emozioni, sono quelli che devo scegliere e portare in scena.

Anche a livello di scrittura scenica quindi, presto molta cura a tutti i particolari. Ed è per questo che scelgo attori capaci di entrare nel mio immaginario, di condividerlo, di svilupparlo, e di farlo risuonare. Perché questo tipo di teatro in particolare vuole una cura sottile delle cose, un’attenzione piccola, disposta anche a tacere in attesa di un gesto, di una cosa che sta per avvenire, di una risonanza emotiva.

Fiabe d’autunno: il successo sta nell’autenticità e nell’empatia

Velia Cura dei particolari, come dici tu, un’attenzione piccola, che non trascura nessun aspetto e che punta alla risonanza emotiva: questa formula teatrale ha successo da 23 anni, in quale altro modo te la spieghi?

Giovanna Noi abbiamo seguito l’istinto, c’è molta autenticità nel nostro lavoro, non c’è mai un calcolo, ma una voglia di creare esperienza, di entrare in un immaginario insieme, bambini e adulti. Poi c’è l’empatia con cui ci avviciniamo al nostro pubblico, un rapporto anche fisico, molto ravvicinato del pubblico stesso alla scena, in un contesto naturale che è di suo in sintonia con i bambini e con l’essenza più pura degli adulti.

Fiabe d’autunno: camminare è già il viaggio

Velia Insomma questo magico teatro all’aperto contribuisce molto al coinvolgimento del pubblico…

Giovanna L’Orto botanico è un ritorno a un’armonia di cui abbiamo tutti bisogno, è un contesto che fa anche da cornice a delle ambientazioni che sono proprie delle fiabe. Io scelgo sempre storie ambientate per la maggior parte in un contesto naturale. Il bosco, il cammino in mezzo alla natura sono elementi che contengono una magia e una potenza enorme, braccia che ci accolgono per la realizzazione di un immaginario.

Camminare – che può sembrare una distrazione – è già il viaggio, camminando come i protagonisti di queste storie, noi viviamo una specie di transfert, una identificazione forte con i personaggi. Questo è un elemento vincente. E la cosa più bella è che sono i bambini a voler tornare, anche a rivedere la stessa storia, perché ogni volta che la vedono la vivono in maniera diversa, con qualcosa in più. In mezzo alla natura c’è un’esperienza sensoriale amplificata, un’esperienza educativa globale, che ci porta in un altrove e ci arricchisce un po’ ogni volta.

Ancora Fiabe d’autunno per riflettere sulla responsabilità, la diversità, l’onestà e… le fiabe

Velia Ci puoi anticipare qualcosa sulle altre fiabe d’autunno?

Giovanna A me piace molto il messaggio di Collodi, senza particolari reinterpretazioni più contemporanee.

Il 6 e 7 ottobre, ci sarà appunto, Gli alberi di Pinocchio, che ci ricorda di prenderci le nostre responsabilità e di non sottrarci alle richieste del tempo e delle situazioni, per facili strade che non portano a niente, e che anzi ci fanno spesso del male.

Il 13 e il 14 ottobre, ci sarà Un brutto anatroccolo, una storia sulla diversità, anzi sulla preziosità della diversità, che viene denigrata perché non capita nell’omologazione di massa in cui viviamo. Rivendica il valore dell’unicità che c’è in ognuno di noi, del cigno che abbiamo dentro e che va coltivato.

Il 20 e il 21 ottobre, ci sarà L’albero del sole, un omaggio reso, attraverso i personaggi di Andersen, proprio alla fiaba, alla necessità di continuare a raccontarla perché è insostituibile e vale la pena di ritrovarla e di essere felici di averla ritrovata.

Il 3 e il 4 e il 10 e l’11 novembre, ci sarà Il magico pifferaio, la storia che solleva lo sguardo al di fuori della nostra vita personale, verso un territorio più sociale: l’importanza dell’onestà, del bene comune. È un’occasione di riflessione su quello che serve per vivere bene tutti, nel rispetto soprattutto dei bambini.

Il teatro ragazzi… a scuola e fuori

Velia Parli della funzione sociale del teatro, fate iniziative anche nelle scuole e nei quartieri più a rischio? Insomma, portate il teatro dai bambini…

Giovanna Il teatro che va dai bambini è la premessa di tutto teatro ragazzi, ossia di un teatro creato e pensato professionalmente per un pubblico specifico di ragazzi, dall’infanzia all’adolescenza, che è nato negli anni ’70, quando il teatro è entrato prepotentemente nei luoghi di comunità. Negli anni poi è cambiato tutto, finito l’impeto di quel periodo, il teatro si è trasformato in qualcosa di più programmatico, di più consueto, prendendo anche forme più istituzionali, al punto che i laboratori nelle scuole sono una prassi oggi condivisa.

Vero è che non sempre la scuola si rivolge a professionisti esterni, spesso l’attività teatrale viene affidata a un docente interno, che in alcuni casi ha frequentato un corso di formazione, ma che comunque non ha una preparazione teatrale specifica.

Per quanto riguarda noi de I teatrini,  in particolare nelle zone con tessuto sociale disagiato, l’idea alla base dei laboratori che proponiamo è la loro conduzione in ambienti non scolastici, in questo modo intendiamo favorire percorsi più liberi, lontani dalle aspettative troppo pressanti, dalle logiche dello spettacolo confezionato e a volte condizionato da stereotipi: per esempio, mi è capitato di vedere testi di Scarpetta messi sulla bocca di bambini… e questo è molto lontano dal nostro modo di pensare il teatro ragazzi.

Per noi, fare teatro significa mettersi in cammino, oltrepassare i luoghi del quotidiano e aprirsi spazi onirici, visionari, per esplorarli, e l’esplorazione comprende sempre un aspetto di ricerca, si inizia un cammino e non si sa dove finirà e come. Proprio questo tipo di apertura, però, nelle istituzioni scolastiche è vissuto con ansia.

Abbiamo fatto qualche anno fa una esperienza significativa al teatro San Ferdinando a via Foria, nel cuore di Napoli, alle spalle dello storico quartiere della Sanità, un momento importante di apertura del teatro al territorio. (E troppo spesso dimentichiamo che il territorio è composto anche da bambini e adolescenti e che dobbiamo riportare l’infanzia a un diritto di cittadinanza, di progettazione, di impegno culturale.) È stata una esperienza molto forte per noi, in un territorio che ha bisogno di riferimenti culturali riconoscibili, una esperienza che ha acquisito la forma di un percorso in cui è emersa una infanzia partecipe, attiva, un divertimento sommesso.

Il teatro ragazzi: una esperienza globale ed empatica

Velia Partendo da questo presupposto, credi che il teatro possa aiutare a combattere il bullismo, ormai diffuso anche nelle scuole elementari?

Giovanna Non so se veramente può combatterlo, ma di certo so che il teatro ha un grande valore educativo. Noi che ci occupiamo di teatro ragazzi, facciamo molta attenzione ai contenuti perché sappiamo del grande potenziale che ha l’esperienza teatrale, proprio perché non è inquadrata nella vita scolastica e non è categorizzabile.

È un’esperienza completa, aperta e trasversale, utilizza più linguaggi, avvolge il bambino in tutta la sua persona. È la rielaborazione successiva che potrà suggerire qualcosa, offrire delle riflessioni a posteriori. È soprattutto un’esperienza empatica: dobbiamo trovare tutti una sistemazione, fare spazio ai più piccoli, è un rituale che non dimentica mai l’altro, anzi cerca di favorirlo. Un unico organismo che ogni volta deve trovare il suo adattamento nella sistemazione e nella fruizione, un sentire comune, ed ecco che ci lasciamo rapire tutti insieme dalle storie, di cui facciamo parte anche noi. È l’empatia che prende varie forme ed è quella che può salvarci dalle aberrazioni della violenza della sopraffazione.

Insomma non resta che andare tutti, grandi e piccoli, all’Orto botanico, le Fiabe d’Autunno ci aspettano… un breve viaggio per il quale vale la pena trovare un po’ di tempo nei nostri week end e un po’ di spazio nel nostro cuore. Grazie Giovanna!