Immagine di copertina di Valeria Crisafulli: Anatomia dell’anima
Fin da piccoli ci hanno insegnato a conoscere e comprendere il nostro corpo. La sua anatomia, cioè da cosa è formato, come lavora, cosa accade se qualcosa si rompe o smette di funzionare come dovrebbe. Nessuno ci ha però spiegato che il motore del nostro corpo è l’anima e che, presto o tardi nella vita, ciascuno di noi si troverà a fare i conti con la capacità di gestire le emozioni che la costituiscono, a confrontarsi cioè anche con la sua anatomia: l’“anatomia dell’anima”.
Gli argomenti dell'articolo
L’invisibile “essenza dell’essere”
Forse perché difficilmente osservabili, talvolta ci si dimentica che le emozioni considerate con largo accordo “universali” – felicità, rabbia, tristezza, paura, disgusto, sorpresa – sono innate, fanno parte di noi e della nostra eredità biologica. Tuttavia, a differenza del corpo, emozioni e stati d’animo non possono essere osservati al microscopio né toccati ed è proprio questo aspetto a rendere centrale il ruolo di mediazione degli adulti nell’educazione emotiva.
Le emozioni rappresentano un processo che coinvolge l’intero organismo a livello neurofisiologico, cognitivo e comportamentale, ricoprendo una funzione adattiva rispetto agli stimoli, agli eventi e alle interazioni sociali fin dai primissimi giorni di vita.
Tra genitori e figli infatti, come in una invisibile danza, avvengono continui scambi finalizzati alla decodifica di richieste, intenzioni e reazioni. Il bambino emette segnali attraverso i suoi comportamenti, il genitore li interpreta ed elabora una risposta che viene a sua volta intercettata e passata al vaglio del bambino, mettendo in moto quel gioco di prevedibilità e sintonia che plasmerà la qualità della relazione.
Anatomia dell’anima: il ruolo dell’ambiente
Man mano che il mondo affettivo del bambino si espande, arricchendosi di nuove figure di riferimento (familiari, insegnanti, compagni di gioco), le emozioni diventano più complesse, suscettibili di filtraggio cognitivo e controllo sociale. Emozioni come l’orgoglio, l’ansia, la speranza, il coraggio, si sviluppano in una fase successiva e risentono fortemente del condizionamento ambientale e del contesto culturale, dimostrando il grado di organizzazione cognitivo-affettiva che media il rapporto tra l’individuo e l’ambiente in cui vive.
Emozioni e competenze sociali
La straordinaria importanza delle emozioni sta nel fatto che sono intimamente connesse allo stato di benessere/malessere dell’individuo e svolgono un ruolo cruciale nell’ambito della socializzazione, divenendo pian piano indispensabili strumenti utili a destreggiarsi all’interno dei complessi sistemi delle relazioni sociali. Per tali ragioni l’educazione emotiva è diventata, negli ultimi anni, un tema prioritario anche in ambito scolastico.
Aggressività, difficoltà di concentrazione, demotivazione, incapacità di gestire piccole frustrazioni, disinteresse sono solo alcuni dei problemi più frequentemente riscontrati nelle classi dei nostri figli oggi, e neanche i più gravi se raffrontati ai nuovi fenomeni di violenza quali bullismo, cyberbullismo e a quel più generale senso di nichilismo che Umberto Galimberti definisce un “ospite inquietante” e che sembra colpire in misura crescente i nostri ragazzi.
Né si può credere che non esista una connessione tra la fragilità emotiva tipica di adulti apatici, indifferenti, anaffettivi, incapaci di emozionarsi e l’aumento della violenza sulle donne, sugli stranieri, sui più deboli o, molto più semplicemente, con il distacco emotivo che la collettività inizia a provare nei confronti delle sofferenze degli “altri”.
Emozioni e sentimenti
Mentre le emozioni sono in parte innate, i sentimenti si apprendono. Ed è questo che intende Galimberti quando afferma che i nostri ragazzi soffrono di una sorta di “analfabetismo emotivo”. I sentimenti, infatti, non sono una dote naturale, non si trasmettono geneticamente, ma si apprendono attraverso la costruzione di mappe emotive che si formano essenzialmente in famiglia nei primi tre anni di vita, ma che possono essere via via rafforzate, plasmate, modificate dall’ambiente che ci circonda, dai riferimenti che facciamo nostri.
Le nostre personali mappe emotive condizionano il nostro modo di sentire il mondo, di interpretare ciò che accade intorno a noi e di reagire agli eventi in modo adeguato.
Educare attraverso la narrazione
I primi incontri significativi dei bambini con i sentimenti avvengono attraverso le storie.
Già nell’antichità tutta una gamma di sentimenti positivi e negativi prendeva forma nei racconti mitologici. Se guardiamo alla mitologia greca, alla simbologia dei suoi protagonisti – Zeus il potere, Afrodite l’amore, Atena l’intelligenza, Apollo la bellezza – scopriamo una molteplicità di sfumature dell’animo umano.
La nostra generazione invece li ha conosciuti grazie alla letteratura, che è il luogo dove molti di noi hanno incontrato per la prima volta, attraverso i protagonisti, sentimenti mai sperimentati prima come il dolore, la noia, l’amore, la disperazione, l’apatia, l’amicizia, il tradimento, la passione, il romanticismo.
Questa “alfabetizzazione emotiva” ci consente di decodificare la realtà che ci circonda ed empatizzare con lei, il che non significa banalmente essere più buoni e comprensivi, ma soprattutto imparare a gestire anche emozioni e sentimenti negativi, come la rabbia, le frustrazioni e le paure che possono far parte delle nostre vite, e incanalarli correttamente evitando che si trasformino nella violenza cieca degli haters da tastiera, nel cinismo dei bulli, nella violenza fisica o psicologica verso i più deboli.
Il potere dell’immedesimazione
La lettura implica l’attivazione di processi di immedesimazione. Attraverso la lettura di un libro “entriamo” nella vita di altre persone e assistiamo a ciò che accade dalla loro prospettiva: guardiamo con i loro occhi, e questo processo accresce l’intelligenza emotiva degli individui.
Quando ci immergiamo nella lettura di un romanzo dobbiamo sempre ricordare che non teniamo noi le redini della storia. E talvolta questo può essere doloroso o frustrante: magari il nostro personaggio preferito muore, o succede qualcosa che non avevamo messo in conto, o con cui non siamo d’accordo.
Eppure, ci dice Umberto Eco, questo è un altro grande insegnamento che la lettura ci offre, gestire il nostro dispiacere, la nostra frustrazione, immaginare possibili strade per migliorare la realtà. E, a proposito del ruolo della lettura nella crescita del nostro “essere umani” o meglio “divenire umani”, aggiunge…
Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro.
Leggere, allora, è come una palestra per la nostra vita: impariamo a comprendere la realtà e i suoi meccanismi, e ci esercitiamo ad affrontarla. Grazie alla lettura e attraverso l’immedesimazione nutriamo la nostra anima e accresciamo la nostra umanità.